Recensioni

Psychedelic – 3nema

Devo ammettere che, guardando l’immagine di copertina del nuovo singolo dei 3nema, mi sono venuti subito alla mente gli Eagles con la loro “Hotel California”, brano celeberrimo e perfetto da ascoltare in macchina durante un lungo viaggio. Ho pensato anche all’ultimo film di Tarantino, “C’era una volta a Hollywood”, nel quale Brad Pitt e Leonardo Di Caprio viaggiavano molto in macchina fra le palme della loro cittadina.

Il titolo poi del brano ha contribuito a richiamare nella mia mente il tema del viaggio, perché la psichedelia non è altro che un viaggio, indotto dalle droghe o meno, in cui si esplorano stati mentali diversi e molto spesso nuovi e si impara a controllare la mente mentre si muove, immersa in un milione di pensieri diversi.

I 3nema sono molto bravi a mescolare diverse istanze stilistiche, senza che l’una invada il territorio dell’altra, ma stabilendo dei forti confini, all’interno dei quali ciascuna istanza possa offrire il meglio di quello che può proporre.

Il mix è presente e fattivo, ma non c’è uno stile che copra gli altri: tutto si fonde armonicamente, con ogni stilema che riesce a trovare il proprio spazio, senza travolgere o essere travolto dagli altri.

Abbiamo il rock della chitarra e del basso, il pop della canzone d’autore e l’elettronica, con i suoi beat artificiali e i suoi echi e rimandi continui, che vanno a colpire anche la voce del cantante, rendendola eterea, leggera, come sospesa nell’aria.

Il brano prende avvio attraverso un testo calato all’interno di accordi di chitarra filtrati elettronicamente, che quindi assumono un riverbero maggiore, diffondendosi all’infinito come onde elettromagnetiche: il messaggio è chiaro, perché il protagonista della canzone afferma che vuole andarsene via dal luogo in cui si trova, e farlo con la propria macchina, termine quest’ultimo espresso in inglese, probabilmente per dare un tocco di internazionalità al tutto e per richiamare l’attenzione sul fatto che la psichedelia è un genere che si è formato e ha preso avvio Oltreoceano.

Il tema viene poi sviluppato pienamente, affermando che si vorrebbe possedere tutta la strada e che si vorrebbe al contempo che tornassero gli anni ’70, con la loro vita “on the road” e la loro musica che faceva viaggiare, immersi in trip infiniti, che aprivano nuove vie dove prima c’erano spazi chiusi e dischiudevano tutte le strade, facendo in modo che si diventasse padroni dello spazio e del tempo, per gestirlo a proprio piacimento.

Lo sguardo è perso nel vuoto, la mente non pensa a nulla, si è occupati solo a guidare la propria macchina in un viaggio infinito e senza limiti, con un deserto, una spiaggia e un mare che separa il protagonista del brano da quelli che sembrano essere i suoi compagni di viaggio psichedelico, ma questo non sembra essere un problema, perché con la mente aperta tutto si può superare.

L’invito è poi rivolto ad un ipotetico compagno d’avventura, con i toni del cantato che si fanno quasi imploranti e più struggenti, e chiedono di lasciare tutto e di andarsene via con la “machine”: nulla può cambiare se si resta dove si è, l’esperienza del viaggio è importante perché farà ritornare i suoi protagonisti più forti e liberi, e poi con il vento in faccia che scompiglia i capelli questa sensazione di libertà non può che essere amplificata; anche in questo caso, si utilizza un aggettivo inglese, nello specifico la parola “free”, che ricorre molte volte nei nomi dei gruppi o nei titoli delle canzoni d’Oltreoceano degli anni ’70.

Ci si può sentire come le facce diverse di una stessa medaglia, a testimonianza dell’unione anche nella diversità, con una riga bianca che separa, riga che può essere quella che segnala la carreggiata nelle lunghe autostrade americane, una riga che va superata e scavalcata, per creare una comunione di intenti.

Il tono, successivamente, si fa ancora più implorante, e l’invocazione più insistente: il protagonista della canzone chiede ripetutamente al suo compagno di avventure di portarlo via dal luogo in cui si trova.

Segue un assolo di basso piuttosto interessante, in cui è riconoscibile anche la tecnica dello slap, quasi a fare da spartiacque tra la parte iniziale del brano e quelle successive, creando uno stacco, che giunge dopo il momento dell’implorazione quasi disperata e ossessiva.

Si ritorna poi alle sonorità iniziali, che fanno da accompagnamento ad un testo che va a riprendere quanto detto precedentemente, che cioè esiste una voglia irrefrenabile di andarsene, di prendere tutte le proprie cose e caricarle sulla propria automobile, per intraprendere un viaggio allo scopo di acquisire consapevolezza e sicurezza in sé stessi: il tempo vola come i chilometri, e la chitarra si esibisce in un brevissimo assolo, che contribuisce alla varietà della proposta sonora offerta dal terzetto.

Ci sono però persone che ostacolano questa voglia di partire, che vogliono che il nostro protagonista muoia nella città in cui si trova ora e che non ammettono il fatto che lui desideri solamente salire sulla propria macchina e andarsene: lui vuole portare con sé tutti i propri soldi oppure anche pagare chi lo vuole ostacolare per fargli cambiare idea.

Ritornano poi gli elementi marini, il mare e la spiaggia che separano quella che sembra essere la destinazione del viaggio che il nostro protagonista desidera ardentemente fare e quella che sembra essere il punto di partenza di tutto.

Questa consapevolezza della distanza riporta al concetto di preghiera e di implorazione, perché arriva immediatamente quello che sembra essere una sorta di ritornello, in cui si invoca disperatamente l’aiuto di un amico, di un compagno di avventure, per essere portati via dal posto in cui ci si trova, invocazione che si fa più pressante, prolungata e insistente, a cui segue un altro assolo di chitarra, che questa volta è più lungo e ha toni ancora più grezzi e poco raffinati, quasi a dare sostegno alla disperazione del momento e ad esprimere uno struggimento di fondo, unito ad un ardente desiderio di cambiare.

Si avverte molta eco in questo assolo, quasi che il suono della chitarra sia stato filtrato elettronicamente, per renderlo più etereo e sospeso in una sorta di area di galleggiamento, uno spartiacque tra quello che si è e quello che si vorrebbe essere.

A tutto ciò fa da seguito un altro assolo, di quelle che sembrano essere delle tastiere o dei sintetizzatori, accompagnati ritmicamente dal basso, con una caratterizzazione maggiormente definita, una melodia di base che sembra avere dietro di sé una logica più netta, che riesce a costruire qualcosa in grado di creare una canzone dentro la canzone.

Incombe poi successivamente, quasi all’improvviso, una parte completamente elettronica, con una voce filtrata attraverso strumentazioni che la fanno diventare quasi aliena, appartenente ad un altro pianeta, con al di sotto un beat anch’esso elettronico, che fa da giusto e puntuale accompagnamento.

Su questo mix di voce e di base ritmica elettroniche si va successivamente pian piano ad installare di nuovo la chitarra elettrica, che crea quasi a sorpresa una nuova linea melodica, prendendo spunto da quello che la precede e completandolo in qualche modo.

Insieme all’avvento della chitarra elettrica, abbiamo il ritorno di una vocalità naturale e non più elettronica, che va a ribadire il concetto principale, l’invocazione cioè ad essere portati via dal luogo in cui ci si trova.

La canzone si chiude con questa invocazione, accompagnata dalle note della chitarra elettrica che ne seguono fedelmente l’andamento melodico, con un’ alternanza interessante fra cantato naturale e cantato elettronico, fino ad arrivare ad una conclusione che sembra provenire da un animo sofferente e ferito, che chiede disperatamente di essere portato via, con una disperazione sempre crescente e sottolineata dalla tonalità quasi di nuovo aliena, irreale, che assume la voce, con uno stacco finale molto netto, quasi a lasciare tutto in sospeso, senza chiarire se il desiderio del protagonista del brano è stato o meno esaudito.

Il finale della canzone è a tratti quasi inquietante, con un cantato che assume dei toni che rasentano l’alienazione dalla realtà, un distaccamento completo da quella che può essere una percezione pura e autentica della situazione, in favore di una visione distopica e distorta del tutto.

Alla fine, ci resta un buon brano che fa della varietà la propria cifra stilistica di base, alternando generi come il pop, il rock e l’elettronica, e alternando allo stesso modo strumenti, come la chitarra, il basso, le tastiere e i sintetizzatori.

Il nostro terzetto non si fa mancare nulla quando è necessario esprimere creatività ed eclettismo, quando è necessario alternare toni rilassati a toni più cupi e disperati: il brano è psichedelico proprio perché porta l’ascoltatore a viaggiare con la testa, avvicinandosi e allontanandosi da mondi completamente diversi tra loro, da sensazioni e sentimenti estremamente differenti l’uno dall’altro.

Si capisce che il desiderio più intimo è quello di andarsene via dal posto in cui ci si trova ora, sperando di ritrovare l’atmosfera degli anni ’70 nel luogo di destinazione del viaggio: non si capisce però se il viaggio stesso ha avuto una conclusione positiva, perché il brano termina con l’invocazione sempre più pressante ad essere portati via verso un posto migliore, con uno stacco netto che non fa presagire nulla, che non dà un riferimento netto su come è andata a finire la storia.

Secondo me, i 3nema hanno voluto farci capire che l’idea del viaggio si rivela essere alla fine il viaggio stesso, che l’afflato che porta a desiderare di cambiare posto è esso stesso uno spostamento verso luoghi migliori: il solo fatto di volere strenuamente e immaginare con fervore una cosa porta quella stessa cosa a divenire reale e non più immaginaria.

La canzone è ben cantata, ben suonata e ben prodotta: è interessante l’idea di alternare parti cantate ad assoli di strumenti diversi, quasi a creare degli stacchi netti fra una parte e l’altra del brano, a delimitarne i confini, a stabilire i diversi campi di azione dei diversi strumenti e delle diverse fasi del cantato.

L’uso di termini inglesi come “machine” e “free” ha secondo me l’intento di rendere il brano maggiormente “internazionale”: esprimersi anche nella lingua del luogo in cui si desidera andare, contribuisce ad avvicinare quel luogo, a renderlo più accessibile, a trasformare il sogno in qualcosa di molto vicino alla realtà.

Ho apprezzato molto il fatto che il terzetto abbia voluto inserire nella canzoni degli assoli di strumenti quali la chitarra elettrica e il basso, essendo io di estrazione prevalentemente rock: questi assoli sono ben eseguiti e contribuiscono a rafforzare l’idea di fondo del brano, dando un seguito con le loro note all’idea resa evidente dal cantato, e a volte accompagnando il cantato stesso, soprattutto quando si fa più disperato e struggente, quando invoca con tutto il proprio essere, quando si strugge perché vorrebbe trovarsi da un’altra parte.

Sono curioso di ascoltare altre canzoni dei 3nema, perché questo brano mi ha intrigato e appassionato, con la sua varietà e la sua complessità: spero che possano confermare l’impressione che ho avuto con questa canzone, che cioè sono un gruppo valido sotto tutti i punti di vista e in grado di creare della musica di buon livello, che richiede uno sforzo per essere compresa a fondo.

Essendo gli anni ’70 il mio decennio di riferimento per la musica rock, non posso che apprezzare una formazione che rivela la propria nostalgia per quegli anni, che secondo me sono stati i migliori in termini di produzione e di creazione musicale.

Spero quindi di poter recensire altre canzoni dei 3nema, per avere la possibilità di immergermi in un ambiente sonoro che mi metta a mio agio e che realizzi le mie aspettative dal punto di vista creativo e musicale. Intanto li ringrazio per averci regalato questa canzone.

 

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