Recensioni

Respirare – Ego 3

Non c’è che dire, gli Ego3 sono tre Ego fatti per stupire, sollecitare, far riflettere e mostrare i muscoli, con il loro sound piuttosto pesante, che dall’indie in alcuni tratti sfocia anche nel metal, e i loro testi dissacranti, che parlano senza inibizioni di tematiche scottanti, quali il sesso, la religione e la società odierna.

La pesantezza del loro sound e la complessità retorica dei loro testi mi ha richiamato alla mente band quali Il Teatro degli Orrori, che metteva delle poesie tenebrose in musica, i Timoria, una delle più grandi rock band italiane, e i Ministri, altro gruppo che non ha paura di denunciare la sporcizia che ci circonda, mettendoci sotto una base musicale piuttosto violenta e aggressiva.

Nel brano precedente che avevo avuto modo di recensire, si presentavano con delle camicie bianche intrise di quella che sembrava una vernice rosso sangue, in modo da dare subito l’idea della loro originalità rispetto ad un panorama musicale italiano a volte piuttosto piatto e appiattito su un certo genere di musica, che sta bene ai più, ma che rappresenta una delusione assoluta per chi ama il rock, in tutte le sue sfumature.

Si può dire che gli Ego3 non deludano le aspettative da questo punto di vista, perché non sono né piatti né appiattiti, ma cercano invece di emergere dal gregge e di mostrare la loro più autentica identità, senza aver paura di scomodare immagini religiose e sessuali: ritengo che riescano a farlo senza destare un eccessivo scandalo, almeno nelle generazioni che sono più aperte al cambiamento e all’accoglienza del diverso. Certo è che, per i benpensanti, le loro parole possono rappresentare qualcosa di offensivo e addirittura diabolico: io credo che sia necessario prendere la loro proposta musicale e testuale in senso allegorico, come un’allegoria sfrontata e senza peli sulla lingua di quello in cui si sta progressivamente trasformando la nostra società, in un insieme cioè di persone che vanno tutte in un’unica direzione, che seguono le mode del momento, anche dal punto di vista musicale, senza metterci del loro, senza rifletterci su e applicare un giudizio critico su quello che gli viene propinato e proposto.

Ben vengano quindi le band che sono capaci di rompere questo sonnecchiante incantesimo e di dire la loro, fornendo un’interpretazione degli eventi che va fuori dagli schemi precostituiti e che sembra in grado di risvegliare le coscienze sopite e di dare voce alle coscienze ricettive, che non ne possono più dell’omologazione e del qualunquismo.

Tonando per un attimo al sound del gruppo, devo dire che in alcuni punti mi è parso sfociare, oltre che nel metal, anche nello stoner, ricordandomi le sonorità di gruppi quali i Kyuss e i Queens Of The Stone Age prima maniera.

I versi della nuova canzone degli Ego3, come è prevedibile, non sono di facile lettura e interpretazione: io cercherò quindi di offrire la mia visione delle cose, che non è necessariamente giusta, ma che va rispettata in quanto personale e frutto di una riflessione.

Il brano si apre in modo insolito, con una frase che appare come un appello: il gruppo si sente soffocare, lamenta il fatto che non c’è aria nei propri polmoni, e a questa invocazione segue una parte strumentale abbastanza lunga, che copre parte dell’inizio della canzone. Questo fatto di non respirare può secondo me essere interpretato sia come una critica alla società moderna, che, con la sua opprimente omologazione, non permette alle anime sincere e piene di dedizione di uscire dal piattume generale, di farsi spazio, di far valere le proprie ragioni, di avere il fiato per denunciare, sia al modo in cui l’uomo sta trattando la natura, causando, anche grazie alla siccità, incendi che stanno a poco a poco distruggendo il cuore verde della Terra, l’elemento cioè che ci permette di respirare aria pulita e che ci fornisce l’ossigeno di cui abbiamo bisogno per sopravvivere.

A questa invocazione fa da subito seguito la constatazione che il vento soffia troppo piano, e che questo fatto possa apparire come una maledizione: il vento può essere interpretato come quello del cambiamento, della rivoluzione che porta le anime pure a ribellarsi, un vento che viene contrastato sul nascere, represso, rinchiuso in una bolla di qualunquismo, che non gli permette di irradiare i propri effetti benefici verso tutte le persone che ne percepiscono il bisogno.

Viene quindi chiamata a manifestarsi la brezza notturna, che per definizione dovrebbe portare frescura e ristoro: l’appello è quello di portare del gelo nel cuore, come se quasi non si pensi di avere più la forza di amare, di manifestare i sentimenti più profondi del cuore, di vivere con un cuore pulsante e caldo, in grado di scaldare tutto ciò che ci circonda. Questa richiesta è fatta quasi disperatamente, con quel “per favore”, che secondo me indica un’impellente esigenza, una necessità forte, un disperato grido di aiuto.

Se il proprio cuore è di ghiaccio, non è più possibile percepire la varietà di emozioni che viene espressa da chi ci sta intorno: credo che l’appello possa derivare da una stanchezza interiore, generata dal fatto di amare senza ricevere nulla in cambio, venendo anzi osteggiati, perché si ha la voglia di diffondere un nuovo calore dove regna l’insensibilità.

Segue quindi un’immagine di difficile interpretazione, che parla di astri che nascono sul vomito già versato: questa espressione può apparire ad un primo sguardo molto negativa, perché può far pensare ad un dolore e a una sofferenza che vengono repressi attraverso gli eccessi, e questo va un po’ a riprendere la tematica del brano precedente, in cui il protagonista beveva fino all’ottundimento dei propri sensi, alla ricerca di un nuovo modo di percepire le cose. Però comunque si parla di qualcosa di luminoso che sta per nascere, quindi sembra che una porta aperta alla speranza venga lasciata: forse una luce sta riuscendo ad emergere al di sopra della miseria causata dagli eccessi, forse non tutto è così buio e soffocante, forse guardando il cielo qualche stella la si può ancora vedere.

Si va ad aggiungere a questa immagine la descrizione di uno stato fisico al limite della malattia: le tempie sono bollenti, forse perché si ha pensato troppo, forse perché, dovendo stare obbligatoriamente rinchiusi in una situazione di immobilità, si ha avuto modo di pensare eccessivamente, di far affluire tutto il sangue posseduto nel corpo verso la parte alta dello stesso, quasi restando per molto tempo a testa in giù, in un mondo capovolto, nella sua irrazionalità, irragionevolezza, insensibilità, nel quale il sistema di valori sembra essersi invertito, dando un senso di predominanza a ciò che invece dovrebbe essere represso e lasciato in secondo piano.

Tutto ciò in un equilibrio che appare più precario che mai, perché porta dolore e sofferenza, non essendo stabile, ma sempre su un tagliente filo del rasoio: questo equilibrio può apparire anche come una ritrovata stabilità, che però si rivela assai fragile. Se ci si muove anche solo di un passo, si arriva a sconvolgere tutto il sistema, che fa dell’equilibrio perfetto uno dei propri marchi di fabbrica, un equilibrio che tiene prigionieri e non lascia più andare.

Si arriva quindi al ritornello, che riprende il titolo della canzone: il protagonista del brano non ha più fiato, non ha più ossigeno, e sente di aver bisogno di respirare, appellandosi anche a forze ultraterrene, ad entità religiose, che forse percepisce come l’ultimo barlume di speranza, l’ultima ancora di salvezza. Si invoca Gesù Cristo per riacquistare la capacità di camminare, dopo essere stati fermi, legati ad un destino malevolo, ad un immobilismo latente che non permetteva alle persone di spostarsi per entrare in contatto fra di loro.

La metafora del camminare può simboleggiare anche un percorso interiore, un viaggio all’interno della propria mente, per ritrovare ciò che realmente sta alla base di tutto e che permette di spostarsi da quell’equilibrio doloroso che porta solo sofferenza e insofferenza.

Viene successivamente portata a conoscenza dell’ascoltatore un’altra categoria di persone, quella definite “del sole”: la mia mente è andata subito ad una canzone dei Rage Against The Machine, intitolata appunto “People Of The Sun”. Non so se il riferimento diretto sia proprio a questo brano, ma si dice che questa categoria di persone non è in grado di capire, forse perché crede di avere in sé una luminosità accecante, in grado di illuminare le menti e i percorsi di vita degli altri: io le vedo come una sorta di “santoni”, che pensano di possedere in sé le chiavi di volta per spiegare tutto, per dare un senso totalizzante a tutto ciò che le circonda, per dare un’interpretazione valida e indiscutibile a tutti gli accadimenti della vita.

Per il nostro trio il mondo è essenzialmente avvolto e costituito da tenebra, e quindi diffida di quelle persone che si credono in grado di portare luce, luminosità e chiarezza, dove tutto è piatto, confuso e di difficile interpretazione.

Queste persone del sole non riescono a capire che il vero piacere non si sperimenta che con la morte, morte che io intendo in questo caso come uno spaventevole ottundimento di tutti i sensi, procurato dagli eccessi, che portano la mente su di un altro livello, che le permettono di sentirsi perfetta perché apparentemente morta e privata della propria capacità di ragionare compiutamente.

Il senso dell’eccesso è poi descritto ancora più figurativamente nel verso successivo, in cui si parla di acido che scorre liquido dalla bocca del protagonista della canzone: questo acido può sia essere la bile che è stata sputata fuori, che la droga allucinogena usata per alterare il proprio stato mentale e addentrarsi in un mondo nuovo, fatto di visioni e di colori fluidi.

Questo stato di alterazione porta ad uno sguardo nuovo e allucinato anche sulla luna, che non è mai stata così bella e che viene accostata ad una donna senza troppi giri di parole, dicendo che sembra possedere l’organo riproduttore femminile. Forse in quella stessa luna viene proiettata l’immagine della donna amata e desiderata, e il satellite della nostra Terra sembra assumere sembianze femminee.

Il brano si conclude poi con la ripetizione della tematica principale, sulla quale si regge l’interpretazione dell’intera canzone: il respiro è l’elemento essenziale che ci fa sentire vivi, se non respiriamo non siamo nella condizione di fare nulla, perché veniamo privati di ciò che ci permette di fare tutto, che permette al corpo di ossigenarsi e di trarre linfa vitale per la propria esistenza.

Alla fine, ci resta un buon brano indie rock, che sfocia in alcuni punti nel sound del metal e dello stoner: abbiamo quindi una base musicale come detto piuttosto pesante, con la chitarra che si fa sentire chiaramente al di sopra di tutti gli altri strumenti, prendendosi il centro della scena ed elaborando tessiture sonore di grande impatto, che non lasciano indifferente chi ascolta, ma che anzi lo coinvolgono ancora di più, unite al messaggio fornito dal testo, che è molto carico di immagini, metafore, similitudini, le quali possono essere interpretate in modi diversi da persone diverse.

Forse è anche questo il bello di un testo così ricco sia di sottintesi che di immagini chiare ed inequivocabili: è interessante vedere come persone diverse possano dare delle interpretazioni differenti alle stesse immagini, e come possa emergere una sensibilità differente da uomo a uomo, da uomo a donna e da donna a donna.

Devo ammettere che gli Ego3 sono stati il gruppo che più mi ha stupito nella mia carrellata di recensioni, forse insieme ad Al Vox, perché hanno creato con le loro canzoni un senso di differenza, marchiando a fuoco il proprio territorio e delimitando i confini della loro apparentemente sconfinata immaginazione.

E’ necessario avere la sensibilità di apprezzare ciò che si distingue, ciò che è diverso, ciò che esula dai canoni che ci siamo imposti per regolare la nostra vita: ciò che è differente deve necessariamente generare un senso di curiosità e interesse, perché altrimenti significa che si è proprio delle persone insensibili.

Credo che gli Ego3 siano una delle realtà più luminose del panorama musicale italiano, proprio perché sono in grado di offrire una proposta musicale e testuale nuova, in grado di uscire dagli schemi prestabiliti e di colpire dritto al cuore chi li ascolta, anche se i loro testi sono popolati da un gran numero di immagini e metafore.

Ben vengano dei giovani che sanno mescolare un sound di chitarra duro e grezzo a dei testi a loro modo poetici: finché ci saranno loro e gruppi simili al loro, la musica avrà vita e vitalità.

Per citare il grande Battiato, credo che siano ancora alla ricerca del loro “centro di gravità permanente” e che si divertano a muoversi costantemente sul filo del rasoio, senza aver paura del dolore che questo può causare e delle ferite che può procurare. Se l’equilibrio fa male, meglio restare sempre sospesi allora.

 

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