Recensioni

Esclusi i presenti – Gianpaolo Pace

Un disco eterogeneo quello che ci propone Gianpaolo Pace, un album che spazia tra generi diversi, senza mai annoiare o stancare, ma mantenendo sempre vivo l’interesse dell’ascoltatore, che viene continuamente stimolato dai frequenti cambi di stilemi musicali.

Il titolo è significativo, e racconta dell’ipocrisia di certi comportamenti umani, di chi preferisce rintanarsi nel proprio orticello, ignorando i problemi e i bisogni degli altri e chiudendosi a riccio nella propria confort zone, sparando nel contempo a zero sulle azioni di chi li circonda, ma lasciando fuori al contempo amici e parenti, alzando le mani e dicendo “Esclusi i Presenti”.

Abbiamo un album piuttosto lungo e multiforme, che va a toccare una gamma variegata di comportamenti umani, tutti condannabili ed esecrabili da parte del nostro Gianpaolo, che si diverte quasi a descriverli, mettendoli con ironia alla berlina, con un senso dell’umorismo raro, che al giorno d’oggi appartiene a pochi cantautori, e con un senso della realtà molto sviluppato, che riesce a comprendere nella propria analisi varie sfumature e sfaccettature del comportamento dell’uomo cosiddetto “moderno”, arrivando talvolta ad irriderle, senza comunque mai mancare di rispetto o sfociare nella volgarità gratuita.

Come detto, gli stili musicali sono molteplici, ed è davvero un bel viaggio quello che si compie attraverso le varie canzoni che compongono il disco: si ride, ci si arrabbia, ci si immalinconisce e ci si riconosce in alcuni dei “caratteri” rappresentati, venendo spinti da una voglia di cambiamento che provoca una scossa fin dalle fondamenta del proprio essere, fin dalle origini di sé e del proprio modo di agire nel mondo e nei confronti degli altri.

L’album parte con la title-track, che si avvia con una rapida intro di quelli che sembrano degli strumenti ad arco, che suonano delle brevi e rapide note, con rapidi tocchi di archetto. Dopo questa introduzione, ecco la canzone vera e propria, con chitarra, basso e batteria a farla da padrone, in una ritmica fortemente trascinante e rapida, che non lascia prigionieri.

La vocalità è fresca, brillante, pulita e levigata, e con il suo canto sembra prendersi beffe delle tipologie di persone di cui parla, delle categorie sociali che descrive: Giampaolo dice di odiare chi parla troppo, non avendo in realtà niente di utile da dire, e lo fa tanto per ammazzare il tempo.

Lui quindi ha deciso di vivere nel silenzio, cosa che gli sembra più ragionevole, piuttosto che sparare fandonie a destra e a manca, facendo la figura degli idioti: c’è poi chi pubblica foto sui social tutti i giorni, foto che sono tutte uguali a sé stesse e dimostrano una cronica mancanza di fantasia.

Il nostro cantautore ci dice che in realtà non gli importa niente della vita vuota di quelle persone: ci sono poi giorni in cui se ne andrebbe di corsa su di un altro pianeta, un pianeta che non abbia forme di vita, per non rischiare di incontrare nessuno che possa essere di disturbo con i suoi comportamenti, in una sorta di selvatica asocialità.

Dopo un breve stacco, parte quello che sembra essere una sorta di ritornello, e che vede l’intensificazione della base sonora, con gli strumenti che suonano una melodia che diviene ancora più trascinante e ritmata, pur non perdendo in freschezza e spontaneità: il suo sogno è quello di avere a disposizione una bomba intelligente che con il suo scoppio riesca a riattivare i neuroni di tanta gente, che provochi un’infezione di buon senso, umanità e coscienza, oltreché un’amnesia generale che faccia scordare come si usa un cellulare.

La critica alla società odierna è evidente e non risparmia nessuno: Gianpaolo odia chi parla di questa cosiddetta “gente” ed è convinto di non farne parte, escludendo al contempo anche amici e parenti, alzando e mani e dicendo “Esclusi i presenti!”; questa è vera e propria ipocrisia.

Segue poi un breve assolo di chitarra, che esegue delle semplici sequenze di note, che fanno quasi da stacco fra una parte e la successiva della canzone: il nostro cantautore prosegue immediatamente con la propria invettiva, dicendo che odia chi si lamenta sempre senza fare mai nulla per migliorare le cose, lasciando che tutto quello che c’è intorno a sé cambi, ma senza cambiare nulla di sé. L’odio si estende poi anche a chi parla spesso di qualcosa che non conosce, a chi parla e non ascolta e va avanti a forza di frasi sciocche: certi giorni il nostro Gianpaolo vorrebbe andarsene subito di corsa, magari nel profondo del mare a parlare con i pesci, che lui sembra ritenere più intelligenti di alcune persone.

Abbiamo poi un altro momento di stacco, con quello che sembra il rumore di un lampo, rumore che anticipa il ritornello, con il sogno di una bomba intelligente che possa riattivare i neuroni di tanta gente, con un’infezione deleteria di buon senso e coscienza umanitaria e un’amnesia che faccia dimenticare come si usa un cellulare.

Viene ancora nominato chi parla genericamente della “gente” dicendo di non farne parte ed escludendo dai discorsi amici e parenti: con un’alzata di mani, ribadisce che sono esclusi i presenti. Quest’ultima parte, che dà il titolo alla canzone e all’album viene ripetuta una seconda volta, divenendo il centro focale di tutto il discorso.

Il nostro autore è proprio stanco di questo mondo, perché aggiunge che certi giorni se ne andrebbe su una montagna tibetana, a pregare con i monaci fra suoni di campane.

L’ultima parte della canzone vede la ripetizione per la terza volta di quello che appare essere davvero il ritornello, per un breve momento senza strumenti di accompagnamento e poi con una base melodica di sottofondo, con la sua bomba intelligente, i neuroni riattivati, l’infezione di buon senso e l’amnesia rispetto all’uso del cellulare.

Viene ribadito l’odio per chi parla della “gente” dicendo di non farne parte, escludendo dai discorsi amici e parenti e alzando le mani per dire “Esclusi i Presenti!”.

La canzone si conclude con uno stacco netto, senza sfumare: musica e parole si spengono improvvisamente, lasciando l’ascoltatore un po’ interdetto, perché magari si aspettava una conclusione meno spiazzante e appunto più sfumata.

Secondo me, questa invece è la modalità migliore per concludere un brano che fa della critica sociale la sua base di riferimento, perché è già stato ampiamente detto tutto all’interno della canzone, e non c’è bisogno di prospettare all’ascoltatore una possibile continuazione dei contenuti.

Segue poi il brano “Da Quando Non Ci Sei”, un rock schietto, sincero, vivido, in cui agli accordi di chitarra elettrica sferzanti, al giro di basso in evidenza e alla potente linea di batteria si vanno ad aggiungere le tastiere, che riportano tutto un po’ a certe atmosfere anni ’80, forse più sintetiche, ma non meno entusiasmanti.

La canzone parla di tutto ciò che il protagonista ha ricominciato a fare dopo che la sua lei se n’è andata via: ha riscoperto gran parte delle proprie passioni e si è accorto che può fare cose che prima non si permetteva di fare, come fumare in bagno, guardare le partite di calcio alla tv come un supertifoso e suonare la sua Fender, che si stava impolverando in cantina.

Un brano insomma su tutto quello che è diventato possibile al nostro Gianpaolo, che si sente una persona nuova, più libera, meno critica verso i suoi possibili errori e verso la propria musica.

Lui non si sente affatto in colpa per questa sua trasformazione, anzi, ne sembra piuttosto entusiasta, come è anche giusto che sia.

Il brano si conclude con la linea melodica che va sfumando, dopo che tutti gli strumenti coinvolti hanno ripreso a suonare in seguito ad una pausa di silenzio, atta a creare un senso di pathos e di attesa.

La voce è sempre coinvolgente, chiara, ben definita, e sa essere anche in un certo qual modo potente e definitiva.

L’album poi trova un suo ulteriore sviluppo nella canzone “Mi Hanno Detto Che”, la quale tratta un argomento piuttosto scabroso e spinoso, quello cioè del tradimento amoroso: il nostro protagonista si sente una persona sbagliata, che fa scelte sempre errate e non gode della stima delle altre persone, e si confronta con un altro uomo che invece sembra eccellere in tutto, che ha apparentemente una bella famiglia con due bambini, che viaggia molto, che possiede una macchina grande, ma che in fondo in fondo non è diverso da Gianpaolo, perché si arrabbia esattamente come lui, lavora esattamente come lui, con in più il fatto che per sentirsi maggiormente uomo va a puttane, lasciando sola a casa la moglie con la scusa di cene di lavoro.

Ci pensa il nostro protagonista a rimediare a tutto questo, facendo l’amore con la moglie stessa quando l’altro non c’è e facendola sentire veramente donna nel suo letto.

Si tratta di un brano dai toni inizialmente più acustici, con accordi che comunque vanno in progressione e una linea melodica che si ispessisce e irrobustisce man mano che il brano procede, soprattutto all’interno di quello che sembra essere il ritornello.

La canzone parla dunque anche di un senso di rivalsa, di un protagonista maschile che sembra invidiare un altro uomo per la vita che conduce, ma che in realtà gli ruba la moglie e la rende felice quando lui non c’è: significativi sono i versi nei quali si dice che lei sarebbe già scappata con il nostro Gianpaolo se non avesse i figli, i soldi e una vita agiata.

La vocalità è ancora una volta robusta, sincera, autentica, e contribuisce a rendere vivido il messaggio del brano: interessanti, a livello di linea melodica, mi sono sembrati gli stacchi che vengono compiuti due volte all’interno del pezzo, con gli accordi di chitarra che si fermano per un attimo, per lasciare spazio ad una nota di elettrica che serve da completamento al tutto, da perfetto dipanarsi di una sequenza melodica a mio avviso molto intelligente e fantasiosa.

Eccoci poi ad un brano dal titolo piuttosto significativo, “Mentre Tu Non Mi Amavi”, che racchiude dentro di sé una molteplicità di spunti sonori e di atmosfere che sollecitano continuamente l’ascoltatore e non gli lasciano un momento di tregua.

Sembra di sentire all’inizio dei ritmi quasi gitani, con la chitarra elettrica che esegue una melodia quasi zingaresca, marziale, sincopata, che nel ritornello si dipana in uno sviluppo di tastiere fluido e potente, e che poi nella parte finale del pezzo diventa una serie di accordi di chitarra acustica, per poi concludersi definitivamente ancora con lo sviluppo di tastiere.

Il tema è formulato tramite una sorta di domanda e risposta: si parla di fatti storici e personali che accadono mentre la propria lei sembra non amare il nostro Gianpaolo; questo elenco di fatti viene compiuto da una voce non filtrata, pulita, spontanea, mentre la risposta a questa elencazione, che poi è sempre la stessa, cioè il titolo della canzone, appare invece filtrata attraverso un megafono impostato su un tono basso.

Il ritornello libera poi una potenza tastieristica interessante, e dice che il nostro protagonista ha dato l’anima per far ridere la propria lei, che sembrava non corrispondere ai suoi sentimenti, non offrire la medesima dedizione al rapporto di coppia.

Gianpaolo poi si chiede perché, nonostante questa freddezza, alla fine lei ritorni sempre da lui, quasi che lei appunto finga di non amarlo, ma poi invece, dopo il dipanarsi di molti fatti storici e personali, torni sempre all’ovile, dove lui la aspetta a braccia aperte.

Interessante è in questo caso il gioco di rimandi che viene fatto nelle strofe, con la narrazione di eventi storici e personali, che sembrano accadere proprio mentre lei non appare interessata a lui, narrazione a cui viene contrapposto in loop il titolo della canzone, filtrato attraverso un megafono.

Abbiamo qui una storia d’amore un po’ contrastata, con lui che fa di tutto per ottenere un sorriso dalla propria lei, la quale invece appare piuttosto distaccata, salvo poi ritornare sempre da lui all’ovile.

Interessante è anche il cambio di stili musicali a cui ho accennato prima, quasi che all’interno di un’unica canzone convivessero insieme tre o quattro anime musicali: questa varietà contribuisce a spiazzare un po’ l’ascoltatore, ma anche a tenere desta la sua attenzione, perché capisce che non può sapere come la canzone si dipanerà in seguito.

Anche i toni sono un po’ contrastanti, con un’apertura che sa di conflitto, una risoluzione nel ritornello che si apre maggiormente ad una certa levità e leggerezza, una continuazione che si dipana in senso acustico e una conclusione ancora all’insegna della leggerezza, anche se l’argomento trattato non è molto leggero, dato che si parla sempre di un conflitto all’interno di un rapporto amoroso, che procede con alti e bassi, con distaccamenti e ritorni all’ovile.

Il disco prosegue con la canzone “O Forse No”, che mostra delle venatura quasi ska nell’incedere della chitarra, accompagnato da quello che sembra essere il suono di un flauto, ma che probabilmente è stato ottenuto tramite delle tastiere passate al sintetizzatore.

L’atmosfera generale sembra piuttosto lieve, leggera, sospesa nell’aria, con il nostro Gianpaolo che narra una vera e propria storia, costituita dalle azioni, dalle scelte e dai comportamenti della sua lei, che vengono descritti minuziosamente e dettagliatamente.

Il brano da una bella carica, perché le sonorità sono piene e la voce è molto declamatoria e stentorea: si parla di avvenimenti e comportamenti che ad un primo sguardo appaiono essere costruiti in un determinato modo, ma che poi, se vengono analizzati più in profondità, sembrano forse essere diversi, caratterizzati in modo differente; da qui il titolo del pezzo.

Abbiamo una ricchezza ed una pienezza sonora molto soddisfacente, che riempie e colma le orecchie di chi ascolta, in un impeto che non ha precedenti nelle canzoni dell’album già citate prima: il suono è molto avvolgente, e l’ascoltatore si sente circondato dalle note, avvolto appunto nelle sonorità.

Siamo di fronte ad una vera e propria narrazione in musica, della quale mi è rimasta in mente in particolare un’immagine, quella delle impronte che la ragazza del protagonista non sembra più lasciare impresse nel terreno lungo il suo cammino, quasi fosse diventata un’entità incorporea, presente solo nei sogni del protagonista e non più nella vera realtà, un’entità eterea, sospesa nell’aere e non più visibile agli occhi; la narrazione sembra assumere toni fiabeschi, favolistici.

Il racconto è pieno come detto di particolari e la linea melodica mostra una ricchezza quasi analoga, con sonorità sempre piene e dense, in grado di riempire completamente lo spazio circostante.

La canzone successiva, “Le Tue Parole”, si apre quasi come un pezzo dei Radiohead più elettronici, con atmosfere rarefatte e sintetiche: all’interno di tutto ciò il protagonista del brano si racconta, dicendo che ha voglia di fare le cose più semplici e piccole e di perdersi nei meandri della città per sentirsi più vivo e più vero, rispecchiandosi nella vita normale delle persone normali, per ritrovare autenticità e verità.

Il pezzo assume poi nel ritornello i contorni di una ballata, sulle note di una chitarra acustica e con un beat di accompagnamento molto soft, con una vocalità che si fa via via più sofferta, con l’indecisione sul fatto se sia meglio aver vicino o meno la propria lei, se lei appunto sia una presenza più rappresentativa e autentica quando c’è oppure quando è lontana, perché le sue parole rendono schiavi, catturano, non lasciano più andare via.

Si può dire che, dopo tanto correre spediti, ci si sia presi un attimo di riposo, con una canzone che possiede un incedere lento, a volte sommesso, ma sempre all’insegna della sincerità e dell’autenticità.

Per la prima volta sembra di sentire il lato più struggente della voce di Gianpaolo, che appare quasi malinconico, un po’ triste e quasi sconsolato, perché si pone molte domande e desidera ardentemente capire, come detto, se è meglio che la sua lei sia presente o assente: quello che è certo è che lui vuole trovare autenticità e per farlo va a mischiarsi alle persone normali, che conducono una vita normale, ma non per questo meno nobile e importante.

Mi ha colpito più di tutte un’immagine, quella di lui che vorrebbe disegnare con il dito sul vetro appannato dal suo fiato: tutto ciò può rappresentare una sorta di ritorno all’infanzia, quando si giocava ad immaginarsi mondi fantastici, osservando ciò che si era disegnato con il proprio dito sul vetro appannato.

Come detto, il brano assume nel suo svolgersi i connotati di una vera e propria ballata, con toni malinconici, con atmosfere rarefatte e con un cantato struggente: il nostro Gianpaolo mostra in questo senso una buona versatilità, riuscendo a passare da canzoni dal ritmo trascinante a canzoni di più ampio respiro, nelle quali è l’immaginazione a farla da padrona, insieme alla fantasia e alla malinconia generata da quello che si vorrebbe fare ma che è da un po’ che non si fa più.

L’album prosegue poi con la canzone “Amnesia”, che, sulle note di una chitarra acustica e su un beat molto rarefatto di quello che sembra essere un tamburo percosso con un bastone, esegue una narrazione sospesa tra passato e presente, con alcuni dettagli che si ricordano in modo sfumato del passato, dettagli di serenità fanciullesca che poi portano ad un presente in cui si litiga, si grida e si piange per amore, con le note dei cantautori preferiti, come Fossati, De Andrè e Gazzè a fare da sottofondo consolatorio.

Sembra che i momenti di intermezzo fra la felicità fanciullesca e la maturità siano un elemento molto molto sfumato, che si ricorda a fatica: sembra mancare l’anello di congiunzione fra i due stati dell’esistenza.

Non per nulla, il pezzo ha questo titolo: è come se il nostro protagonista si sentisse privo dell’anello di congiunzione fra i momenti in cui era un bambino e i momenti in cui è un uomo alle prese con le difficoltà della vita, soprattutto quella amorosa.

Gianpaolo ripete spesso che non ricorda, e questo fatto è esemplificativo di quanto detto precedentemente, come se lui abbia perso, dimenticandosene, un pezzo della propria vita, importante proprio perché è ciò che porta dalla fanciullezza alla maturità e contiene in sé quindi tutti gli elementi che hanno contribuito alla crescita personale e umana del suo essere.

Anche questo brano sembra assumere i contorni di una ballata, che parte piano e poi si irrobustisce progressivamente, pur restando una canzone prettamente acustica: il cantato è prima dolce e suadente, diventando poi malinconico e struggente, segnando anche vocalmente il passaggio mancato tra quando si era dei bambini all’età adulta, come se fosse intervenuta una vera e propria amnesia improvvisa a cancellare ogni ricordo, rendendo brusco il passaggio tra quando si era fanciulli al momento in cui si è adulti e si viene chiamati a fare delle scelte e a prendere delle decisioni importanti.

Il pezzo lascia in qualche modo in sospeso l’ascoltatore, perché non gli viene svelato cosa possa essere accaduto in relazione all’amnesia che caratterizza i ricordi del nostro cantautore: si sa che non ricorda alcune cose, ma non si capisce il perché non le ricorda.

Proseguiamo il nostro viaggio con il brano “Vedo Doppio”, un pezzo scanzonato, piuttosto leggero, che scivola via come sul velluto, con quella che sembra essere una chitarra elettrica effettata, passata al sintetizzatore, che dipinge un affresco fatto di accordi che rasentano il genere ska, con sonorità aperte, chiare, pulite e luminose.

Il nostro cantautore racconta la sua immaginaria nuova vita, dopo che si è svegliato una mattina e si è accorto di vederci doppio, di essere sdoppiato in due personalità, di avere due bocche, quattro occhi e quattro orecchie, di aver subito una metamorfosi che ben ci starebbe in un libro di Kafka.

Questa trasformazione viene giustificata dal suo medico con il fatto che lui sia stressato, ma il nostro Gianpaolo afferma che invece lui la ritiene un dono del cielo, che gli permette di vedere meglio la realtà che gli sta intorno: non risparmia in questo senso una frecciatina alla sua lei, dicendole che si sta accorgendo di quanto sia doppiamente stronza, e questo sicuramente non è un bel complimento.

La realtà di tutti i giorni gli appare dunque sdoppiata, perché si trova a leggere due giornali, a guardare due televisioni, a sentire due comizi di due politici diversi in piazza.

La voce del nostro autore ben si adatta a cantare una canzone di questo tipo, perché ha secondo me dei toni molto “narrativi”, è in grado di raccontare una storia in musica, ed è scanzonata e lieve al punto giusto per raccontare una favola pop rock, pur non rinunciando ad essere ferma e stentorea, chiara e declamativa.

Il tono complessivo della canzone mi ha richiamato alla mente alcune composizioni dei Police, perché anche loro inserivano negli album dei pezzi di “alleggerimento”, che molto spesso parlavano d’amore e che avevano una base sonora analoga a quella di questo pezzo, che sfociava in uno ska scanzonato e divertente.

Questo brano ci mostra la capacità di invenzione posseduta dal nostro cantautore, che arriva ad immaginare di vivere una doppia vita, con due sé che fanno cose diverse e vedono cose diverse: come detto, lui considera questa sua nuova condizione di vita un dono del cielo, perché gli sta facendo capire molto meglio come stanno realmente le cose della vita e come sono davvero le persone che lo circondano.

La canzone alleggerisce a guisa di favola senza risultare mai banale, con sonorità comunque abbastanza elaborate e una struttura complessiva ben definita e ben impostata.

“Il Blues Del Gatto Di Strada” è una canzone interessante, perché diversa da tutte quelle presenti nell’album: comincia con voce e chitarra acustica, con il nostro Gianpaolo che si vede appunto come un gatto di strada, che vive in modo selvaggio e prova a fare l’eroe senza riuscirci, e chiede quindi ad un’altra persona della quale non sembra avere un’opinione così positiva di spiegargli come si fa, anche se a pregare Dio è già capace anche lui, così come a nascondersi alla divinità.

Il brano sembra una critica alle persone che pensano di condurre una vita per così dire “speciale”, molto più valida di quella delle altre persone, morigerata e attaccata a Dio come proprio riferimento: Gianpaolo afferma che anche lui è capace di rivolgersi alla divinità come fa l’altra persona, di sembrare un buon cristiano, quando invece si conduce una vita ai margini della strada, lisciandosi il pelo e osservando con sospetto le altre persone.

Il pezzo assume più mordente man mano che prosegue, perché si aggiungono progressivamente altri strumenti, con una chitarra elettrica che esegue poche e ben calibrate note, cimentandosi poi in un breve assolo con un sound interessante, levigato, liscio, che evoca molte suggestioni, con una base ritmica di basso e batteria che portano corpo e consistenza e il probabile inserimento anche di un organetto, che segue la linea melodica principale.

La canzone, nell’ultima parte, si alleggerisce un po’, tornando quasi alle atmosfere iniziali: questa parte mi ha ricordato alcuni pezzi di Adriano Celentano, nei quali lui sparava le sue invettive contro le persone e la società su una base sonora gradevole, soffice e vellutata.

L’altra persona non ha nulla da insegnare al nostro gatto di strada, il quale, pur vivendo ai margini, si sa comportare come si comporta chi si crede al di sopra di tutti perché si appella alla potenza divina, che si crede un sant’uomo, ma che poi alla fine non può dare lezioni di vita a nessuno.

La voce di Gianpaolo assume qui ancora dei toni da narratore: lui vede chiaramente le cose come stanno e non si fa remore a dirlo all’interno della canzone. Viene raccontata una storia in musica, con sonorità che a volte sfociano nel blues, anche se personalmente classificherei la canzone nell’ambito del soft rock e dell’alternative rock, nonostante il titolo.

Si parla di blues forse perché all’interno del brano viene come detto raccontata una storia di vita, con le sue sofferenze, ma anche con la sua capacità di non dipendere dai presunti insegnamenti di chi si crede più grande e superiore.

L’album termina poi con la canzone “L’Amore Che Torna”, una brano schietto, sincero, che parte subito a mille all’ora con una solida base di chitarra, basso e batteria, accompagnata dal suono synth pop delle tastiere, che dà un’interessante caratterizzazione al pezzo, fornendo una linea melodica “alternativa” che ben riesce ad amalgamarsi a quella principale, formando un tutt’uno che ricorda a tratti alcune canzoni dei Depeche Mode, che hanno sempre fatto un massiccio utilizzo delle tastiere, accompagnandole con gli strumenti classici del rock.

In questo brano si descrive appunto, come da titolo, l’amore che torna, quindi probabilmente un amore che si riteneva concluso, ma che invece subisce un ritorno di fiamma: non a caso, ci sono dei paragoni che portano prima a pensare al caldo del sole estivo e poi a quello di un caminetto d’inverno.

L’autore si rivolge ancora una volta alla propria lei, chiedendole quasi scusa se anche nel proprio petto c’è un cuore che batte e che merita rispetto: il ritmo è sempre piuttosto sostenuto, è in quello che sembra essere il ritornello, si fa ancora più veloce, quasi frenetico.

Siamo di fronte ad un bel pezzo rock d’impatto, che non a caso è il più breve dell’intero album, quasi che tutta l’energia sprigionata in esso dovesse essere condensata in un tempo più breve, per renderla ancora più efficace e perché procedere oltre con un ritmo così forsennato sarebbe stato credo impossibile.

Questa brano dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il nostro Gianpaolo è molto duttile compositivamente parlando, perché sa passare da pezzi che sembrano quasi delle ballate acustiche a brani con un ritmo trascinante ed estremamente coinvolgente.

Anche qui, il nostro autore non si risparmia lato critiche, sfociando questa volta in ambito amoroso e dicendo alla propria lei che sembra infastidita dal fatto che anche nel suo petto ci sia un cuore che batte e che sa amare.

L’amore che torna viene come detto descritto con molte similitudini, tutte efficaci: le due che ho citato sono quelle che più mi hanno colpito, ma ce ne sono tante altre che meritano considerazione.

Il nostro cantautore, nel chiedere apparentemente e ironicamente scusa alla sua lei, dice che è sempre possibile che l’amore ritorni, che ci sia un ritorno di fiamma, finché ci sarà un cuore che batte e che sa amare.

Alla fine, ci resta un disco molto vario, pieno e pregno di proposte sonore e di stili e stilemi musicali diversi, visto che come detto il nostro Gianpaolo dimostra di essere molto versatile in termini compositivi, riuscendo ad unire all’interno della stessa opera generi diversi, come lo ska, il rock e il blues acustico, sempre con tanta qualità e con una proposta molto sincera e verace.

Il nostro autore non ha peli sulla lingua, e denuncia il malcostume della società attuale, scagliandosi contro le persone che sembravano essere sue amiche, contro la propria lei e contro la società e la politica.

Ad essere condannata, in particolare secondo me, è l’ipocrisia di alcuni comportamenti umani, tenuti da alcune persone, che si credono migliori di altri, ma che da un punto di vista esterno, laterale, dal lato della strada, si rivelano in tutta la loro falsità, perché il castello di apparente credibilità che hanno costruito intorno a sé si è rivelato essere fatto di sabbia, quindi capace di sfaldarsi e cadere con l’arrivo delle onde.

Abbiamo quindi un album ben scritto, ben cantato e ben prodotto, che, attraversando come detto numerosi stili e stilemi musicali, crea un’immagine piuttosto completa della società odierna, con i suoi vizi nascosti da apparenti virtù, con i suoi comportamenti ipocriti nascosti sotto un velo di superiorità, con il suo amore che si rivela alla fine falso e poco attento alle esigenze e ai bisogni dell’altro.

La condanna è estesa e uniforme, e il disco si rivela estremamente intelligente quando usa delle metafore per parlare di alcune questioni, come nel caso in cui il nostro Gianpaolo dice di essersi trasformato in un essere che vede doppio, per vedere quanto doppiamente stronza è diventata la sua lei.

Credo che, se dovessi descrivere questa fatica discografica con una parola, utilizzerei “completezza”, sia a livello stilistico e sonoro, che a livello di temi trattati: non è possibile per l’ascoltatore distrarsi in alcun modo, poiché tanti sono gli stimoli e tante sono le sollecitazioni a cui è sottoposto che deve tenere desta la propria attenzione, incrementando il suo livello di sensibilità e partecipazione.

Partecipazione, sì, perché credo che ciascuno si senta in qualche modo coinvolto nelle storie trattate all’interno delle canzoni, chi più e chi meno, e si senta un po’ chiamato in causa quando si parla di amore, ipocrisia e società moderna.

Faccio quindi i miei complimenti a Gianpaolo e spero di poter recensire in futuro altre sue opere, per vedere se si manterrà ancora su questa varietà sonora e stilistica ed amplierà ulteriormente il proprio raggio d’azione in termini di critica sociale e dei costumi, dei comportamenti e delle azioni, dei pensieri e della considerazione verso gli altri.

Lamentarsi, alzare le mani ed affermare che sono esclusi i presenti è il primo dei comportamenti ipocriti a cui Gianpaolo fa riferimento, e da esso si dipanano come in una rete anche gli altri: bravissimo lui ad estrinsecarli e a condannarli con forza, in una dimensione universale che colpisce l’animo e il cuore di chi si mette in ascolto.

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