Pensieri & Parole

“Sanremo, la città dei fiori… presi a calci”

L’esperienza ci insegna che sono pochi gli eventi che riescono a fermare l’Italia: la Nazionale di calcio che gioca i Mondiali, il Grande Fratello, alcune serie TV grazie al passaparola e, ultimo ma non meno importante, il Festival di Sanremo.

L’ultima edizione, conclusasi circa quindici giorni fa e condotta ancora una volta da Amadeus, avrebbe dovuto, negli intenti di chi l’ha costruita, far vincere la musica, ma così non è stato, a mio modesto parere.

Quanto scriverò da qui in avanti è relativo alle riflessioni personali che ho svolto sull’evento.

Partendo dai nomi in gara, a parte qualche eccezione più “old style”, non si sono visti cantanti veramente conosciuti al grande pubblico medio italiano: abbiamo avuto nomi noti prevalentemente ai giovani ragazzini, che in Italia ascoltano prevalentemente musica trap o musica rap.

Da parte mia, non ho seguito molto lo svolgimento della manifestazione, ma il bombardamento mediatico a cui siamo stati sottoposti mi ha tenuto aggiornato, almeno sugli eventi più importanti: mi sono reso conto che la musica ha vinto veramente solo in alcuni precisi momenti, quando hanno calcato il palco dell’Ariston alcuni dei nomi storici della musica italiana e internazionale; penso in questo senso ai Pooh, che hanno dimostrato di essere ancora uniti dopo una carriera più che cinquantennale, a Massimo Ranieri e Al Bano, che hanno cantato con trasporto assieme a Gianni Morandi alcuni dei classici del loro repertorio, a Elisa, che ha duettato in modo mirabile con Giorgia nella serata delle cover, e anche e soprattutto ai Depeche Mode, ospiti internazionali della serata di chiusura, che hanno presentato il loro ultimo singolo, accompagnandolo con uno dei loro più grandi successi, “Personal Jesus”. La band inglese ha fatto vedere per l’ennesima volta di che pasta è fatta, anche se recentemente ha perso il suo storico tastierista, Andy Fletcher, perdita che ha rattristato molto tutti i fan, ma che non è riuscita a distruggere l’alchimia interna del gruppo, che, anche grazie all’aiuto di amici fidati, è rimasto unito.

Un Festival di cui più o meno si può ipotizzare il nome del probabile vincitore fin dall’annuncio dei partecipanti (e infatti ha trionfato Marco Mengoni, che non a caso proviene da “X Factor”), un Festival in cui uno come Blanco, per ritrovare fama e notorietà e per far parlare di sé, deve prendere a calci i fiori del palco, un Festival in cui si parla di più del bacio tra Fedez e Rosa Chemical che delle canzoni in gara, non può essere una manifestazione che celebra la musica italiana.

Non a caso, nei pochi momenti in cui mi è capitato di assistere ad alcuni spezzoni di puntata, mi è sembrato di essere all’interno del reality show dei Ferragnez, quello incentrato sulle vicende della famiglia di Fedez e Chiara Ferragni, con tanto di “finto” litigio dietro le quinte in seguito proprio al discusso bacio.

Non a caso, quando sono andato a vedermi le ricerche più frequenti su Google effettuate dagli utenti, ho notato che una di loro era proprio e non a caso “Fedez e Ferragni”: direi che, se l’intento era quello di dare ancora maggiore visibilità alla coppia, l’obiettivo è stato raggiunto in pieno.

Mi è poi sembrato che la stessa Ferragni, invece che rispettare il proprio ruolo di conduttrice, abbia pensato maggiormente a rendere ancora più famosa sui social la propria immagine (se ce ne fosse stato bisogno), costringendo Amadeus ad aprirsi in diretta un profilo Instagram, per fare a gara di follower con Gianni Morandi.

Un Festival fatto su misura per l’audience, insomma, e infatti più del 60% degli italiani ha seguito in media le cinque serate della manifestazione, credo più per curiosità su quello che sarebbe potuto accadere “fuori” dalla gara che sulla gara stessa.

Nell’ultima serata, il picco di telespettatori si è avuto proprio durante l’esibizione dei Depeche Mode, attorno alle 22, a dimostrazione del fatto che, per catturare la maggior fetta possibile di ascoltatori, è necessario portare un famoso gruppo internazionale o comunque personaggi simbolo della musica italiana di un tempo.

Qualche settimana fa mi è capitato di parlare con un anziano jazzista, che mi ha detto che la musica italiana di oggi vale poco o nulla, aggiungendo che Sanremo è diventato un passatempo per casalinghe annoiate, opinione che mi sono trovato a condividere, anche se a mio parere la nuova musica italiana di qualità esiste ancora, basta andare a cercarla nei piccoli club di provincia, luoghi di nicchia dove si suona ancora con lacrime, sudore e sangue.

Dopo quindici giorni, si sente parlare pochissimo del Festival sulle emittenti nazionali e sui giornali, segno che, dopo l’esaltazione iniziale, la manifestazione sembra aver lasciato poche vere tracce di sé.

Un fatto significativo in tal senso è che il TG1 ha invitato a parlare nella sua edizione delle 20 alcuni dei protagonisti del Festival, a partire da Marco Mengoni, proprio per rilanciarne le quotazioni e per non correre il rischio che il tanto impegno profuso dalla rete televisiva per ottenere visibilità sui personaggi e sulle loro canzoni andasse perduto.

Per non parlare poi della puntata di “Domenica In” dal Teatro Ariston, tutta dedicata agli artisti partecipanti, e alle due puntate dello show di Carlo Conti “Tali e Quali Sanremo”.

Se non fosse così perché invitare a parlare dei personaggi che dovrebbero essere entrati nell’immaginario degli italiani grazie ad una manifestazione canora che avrebbe dovuto far vincere la musica? Perché invitarli se non per ridare linfa alla loro popolarità, anche se sono trascorsi solo quindici giorni dalla fine del Festival?

La società di oggi si sta abituando, anche in campo musicale, alla logica dell’ “usa e getta”: il giorno prima sei un campione, il giorno dopo rischi di essere dimenticato, in favore di un altro campione; la notorietà presso il pubblico è un fattore estremamente labile, e si rivela necessario annaffiare spesso la sua pianta, per non farla appassire nel giro di pochi giorni.

E’ poi possibile, soprattutto in campo musicale, avere a disposizione tutto in qualsiasi momento, grazie ai servizi di streaming come Spotify: la fruizione della musica è quindi diventata frammentaria, spezzettata, e non si fa più la fatica di un tempo per ottenere e ascoltare ciò che piace.

I ragazzini di oggi, i cui idoli musicali possono essere rappresentati dai giovani cantanti presenti a Sanremo, non devono più conservare gelosamente la propria paghetta per comprarsi alla fine del mese il sospirato cd che bramano da tempo, ma sono letteralmente sommersi da materiale musicale di ogni tipo, che possono fruire quando e dove vogliono, accettando qualche annuncio pubblicitario nel mezzo o pagando un canone mensile che è molto inferiore al costo di un cd o di un vinile, e che viene offerto ulteriormente scontato se si è studenti.

E’ chiaro che, con un’offerta così variegata e illimitata, si diventi dei consumatori onnivori di musica, con la voglia di ascoltare tutto il possibile, senza fare nessuna fatica o nessuna rinuncia: questo porta a passare da una canzone all’altra, da un artista all’altro, senza soluzione di continuità, per soddisfare il proprio appetito mai sazio.

I punti di riferimento vanno così a dissolversi gradualmente: non esiste più un gruppo ristretto di artisti per i quali si è disposti a fare follie e sacrifici, ma c’è una moltitudine di cantanti e canzoni tra cui scegliere, e questo aiuta a dimenticare in fretta una canzone, proprio perché l’esplorazione dell’universo musicale è continua e sempre alla ricerca di nuovo materiale.

Prima si era costretti ad ascoltare per intero il vinile o il cd che si aveva comprato, mentre ora è possibile, come si dice in gergo, “skippare” una traccia se non è di proprio gradimento, passando rapidamente alla successiva, e alla successiva ancora: in questo modo, non ci si affeziona più ad un prodotto musicale, ma si va alla ricerca solamente di ciò che può soddisfare un piacere momentaneo.

Ultimamente, poi, sono stato a Milano, in uno store in Piazza Duomo che vendeva anche vinili e cd: ho notato subito che il prezzo di questi ultimi è lievitato in modo incredibile, perché ciò che prima costava 25 euro adesso ne costa 40, e ciò che prima costava 40 euro ora ne costa 60.

C’erano dei ragazzini vicino a me che facevano scorrere i vari dischi, apparentemente alla ricerca della musica rock del passato, segno che ci sono ancora genitori che riescono ad educare i propri figli verso un ascolto ragionato della musica stessa, anche se può essere che quei ragazzini abbiano visto in giro delle magliette di alcune delle più famose band rock e siano andati a farsi un’esplorazione su Internet per vedere i loro lavori più famosi.

Anche questi giovanissimi, comunque, si lamentavano del fatto che i prezzi dei prodotti musicali che volevano acquistare fossero esageratamente elevati per le proprie tasche: l’aumento dell’inflazione ha fatto inevitabilmente lievitare i prezzi, anche dei vinili e dei cd, e questo fatto non può non aver scoraggiato le nuove generazioni nell’approccio alla buona musica del passato.

E’ comunque necessario dire che c’erano anche degli scaffali con dei cd in offerta, anche di band molto famose, i quali erano però poco frequentati, segnale anche questo della potenza e della dominanza dei servizi di streaming, che la fanno da padrone, aiutati dalla presenza dei programmi di scaricamento illegale di file (ancora utilizzati) e dal servizio iTunes della Apple, che offre ciascuna canzone ad un costo infinitesimale, inferiore ad un euro.

Tutto questo porta inevitabilmente ad una fruizione disordinata del materiale musicale e ci riporta al discorso fatto precedentemente: un ascolto di questo tipo ha come diretta conseguenza la “demitizzazione”, se così si può dire, degli artisti, che un giorno si ritrovano sulla cresta dell’onda e il giorno dopo sono già dimenticati, perché il pubblico è passato ad altro, attratto dalle lusinghe della sconfinata offerta musicale presente oggi.

Non è quindi un fatto strano, come accennavo prima, che il principale telegiornale italiano stia invitando a parlare alla fine della propria edizione serale i cantanti dell’ultimo Festival di Sanremo: l’intento è fare in modo che non vengano dimenticati presto e che si continui a parlare di loro, ad acquistare i loro nuovi dischi e ad ascoltare le loro nuove canzoni.

E’ stato quindi profuso uno sforzo immane per produrre uno spettacolo che avrebbe dovuto far risaltare e vincere la musica, ma che alla fine verrà ricordato maggiormente per alcuni episodi “fuori dalle righe” che ne hanno caratterizzato lo svolgimento: forse era già tutto programmato, come in un reality show in cui tutto è già scritto precedentemente, fatto sta che il servizio televisivo pubblico  non ha fatto secondo me una bella figura, offrendo un evento musicale che ha fatto parlare di sé più per gli “scandalosi” eventi di contorno che per le canzoni stesse, ad eccezione di qualche raro caso.

Segnale tangibile e risultato scontato di tutto ciò che si è affermato finora è il fatto che, a soli quindici giorni dalla conclusione della rassegna, si sia quasi del tutto smesso di parlarne, e che le sue canzoni vadano in forte rotazione prevalentemente su Radio Italia, e molto meno sulle altre emittenti.

Durante la settimana di Festival era quasi impossibile non sentirne parlare, se si aveva una televisione o una radio: dopo tutta quella concentrazione mediatica, sembra essere rimasto in mano ben poco agli operatori dello spettacolo che lo hanno organizzato, e si è dovuti in qualche modo correre ai ripari.

Chi avrebbe mai pensato che i famosi fiori di Sanremo sarebbero stati presi a calci in diretta nazionale, che uno dei simboli della rassegna canora, considerato sacro, avrebbe fatto quella fine? Credo proprio che la risposta non possa che essere “nessuno”.

Questo secondo me succede quando si ha poco da dire musicalmente parlando, anche se si ha vinto il Festival l’anno precedente, e per tenere desta l’attenzione su di sé si è costretti a fare dei gesti che alla fine risultano irriguardosi e irrispettosi, e tutto questo non giova all’immagine di un Paese che ha fatto del Festival una delle proprie manifestazioni simbolo, attraverso la quale presenta una parte di sé al mondo.

 

 

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