Un brano alternative rock dalle sonorità grezze, taglienti, ruspanti e dal testo molto incisivo, che mette da subito le cose in chiaro, senza lasciare sottintesi.
Questa canzone mi ha ricordato il veleno dei versi e la ruvidezza del sound di altre band italiane, quali i “Ministri”, che da sempre si sono messi contro il sistema precostituito, contestandolo, e “Il Teatro Degli Orrori”, che, come dei moderni Doors, hanno posto la musica al servizio della poesia, declamando testi aulici su un sottofondo estremamente rock.
Siamo di fronte ad una canzone che arriva a sfiorare il punk, per la carica emotiva e la velocità con cui spara le proprie cartucce, senza guardare in faccia nessuno: è il racconto di come gli eccessi possono liberare lo spirito e la mente dalle catene che gli vengono imposte e arrivare a realizzare una nuova realtà alternativa, in cui la provocazione è di casa e l’estremizzazione dei vizi porta verso l’entrata degli inferi. Per dirla con gli AC/DC, siamo su “un’autostrada per l’inferno”, come recita uno dei loro brani più famosi e significativi.
Il testo è costituito da liriche molto brevi, ma pregne di significato: la sua durata, di poco inferiore ai tre minuti, fa presumere che gli Ego 3 abbiano molto ben assimilato la lezione di gruppi come Ramones e Stooges, che hanno fatto dell’immediatezza del messaggio una delle loro cifre stilistiche, portando al completo sviluppo il genere punk e quello proto-punk.
La canzone di apre con una bella, pesante e prepotente linea di basso, dalle sonorità cupe, tetre, ombrose, quasi ad anticipare quello che verrà dopo, cioè un’esplosione di chitarra e batteria che appare come lo scoppio di una carica di dinamite e riempie di calore, dinamicità e velocità le orecchie di chi si trova ad ascoltare.
Come detto, il testo è breve e diretto, e inizia da subito a comunicare il messaggio “infernale” e “diabolicamente posseduto” del brano: siamo quasi di fronte ad un Caronte che veleggia al contrario e che, piuttosto che traghettare nel mondo dei morti, porta, anche se per un attimo solo, al di fuori di questo stesso mondo.
Come un cadavere che si credeva ormai sepolto, il protagonista del brano risuscita, con la sua salma che viene riesumata e non appartiene più al mondo dei morti. Questa riesumazione avviene attraverso quello che viene definito un “divertimento etilico”, una sorta di gioco di sfida nei confronti dell’alcol, per vedere chi resiste di più: il tutto si verifica al di sotto di una luce dalle tinte fosche, tetre, che alla luminosità di cui si solito è dotata contrappone un senso di infelicità. Si può pensare che la persona di cui si parla nella canzone beva per dimenticare, per liberare il proprio essere da ogni forma di vincolo e per spingersi oltre ogni limite conosciuto, sfondando le barriere e i muri che lo circondano nel suo percorso tormentato.
Questo fatto è ben esemplificato dai versi successivi, nei quali si dice che non è possibile fermarsi, che la frase “mi fermo qua” non ha residenza, non ha significato: si arriva a chiedere al barista non un altro bicchiere, bensì un altro secchio, a testimonianza della voglia irresistibile di andare oltre ogni limite, della voglia irrefrenabile di sfiorare con i propri polpastrelli la morte, di guardarla in faccia.
Tutto ciò porta ad avere, si può dire come diretta conseguenza, una fitta al fegato, l’organo maggiormente intaccato dall’alcol: questo dolore sembra dire al protagonista della canzone cosa fare, ma lui non pare preoccupato e non sembra darle molto ascolto, tanto che si mette a ballare, perché crede che sia questo il comportamento più appropriato per assecondare l’eccesso che si sta consumando nel locale.
Si arriva quindi ad un ritornello che non è altro che un’esaltazione dell’eccesso stesso: ogni verso è infatti contraddistinto dalla stessa parola iniziale, sottolineata con un punto esclamativo. Questa presenza costante è molto significativa e descrive bene l’unica azione che il protagonista del brano ha intenzione di compiere, cioè quella del bere.
Si beve fino alla morte, si beve per intravvedere le porte degli inferi, si beve talmente tanto che sembra giunta la propria ora, si beve punto e basta.
Questa esaltazione dell’eccesso porta a delle logiche conseguenze, non molto felici, perché chi beve molto poi arriva a vomitare: per tre o quattro volte il personaggio del brano arriva a espettorare addirittura la propria bile, ma nonostante questo non si scoraggia, perché, nonostante tutto, è ancora vivo.
Si intuisce che i protagonisti della canzone sono due, uno dei quali non vuole più andare avanti a bere, mentre il secondo vuole arrivare fino all’eccesso: il primo guarda il secondo come se fosse un alieno, perché non capisce evidentemente le reali motivazioni per le quali quest’ultimo si spinge oltre i limiti. Il secondo la mette quasi sul ridere, dicendo che probabilmente avrà la faccia di colore verde, e prosegue il suo percorso infernale, ordinando un’altra bottiglia, ben sapendo che questa non esaurirà la sua sete di alcol.
Si ritorna a parlare, come fatto in precedenza della fitta al fegato, che appare come un avvertimento, che viene bellamente ignorato e viene addirittura considerato come un ulteriore incentivo a gettarsi nelle danze alcoliche.
La canzone si conclude con la ripetizione, per due volte consecutive, di quello che appare essere il ritornello, come detto prima: si beve fino alla morte, si beve per arrivare vicini alle porte degli inferi, si beve fino a percepire come vicina la propria ora.
Alla fine, ci rimane un ottimo brano alternative rock dalle sfumature punk, ben prodotto, ben cantato e ben suonato, dal ritmo frenetico, senza soste, e dalle sonorità ruvide, grezze, taglienti, con un testo dai versi brevi e concisi, che riesce comunque a dare una vivida rappresentazione del messaggio di cui la canzone si vuole fare portatrice.
La voce del cantante mi è apparsa come quella di un moderno Lucifero, quasi sghignazzante, pronta ad esaltare il perverso divertimento insito nella sfida ai limiti precostituiti, alle norme comportamentali che guidano la buona convivenza civile.
Credo che la canzone voglia porsi come un atto di liberazione, di separazione, di alienazione dal mondo da cui si è circondati, per raggiungere nuove percezioni, alterate e a volte disturbanti, ma che non sono in grado di abbattere definitivamente e di uccidere, anche se portano ad intravvedere le porte degli inferi e a percepire come vicina la propria ora.
Lo spirito, forse quello più tetro e malvagio, che in parte è presente in ogni uomo, come ben dicevano i Pink Floyd nel loro capolavoro “The Dark Side Of The Moon”, viene liberato dalle manette e dalle corde che lo tenevano relegato in un angolo, per farlo assurgere a principale protagonista della vicenda narrata.
Non possono esistere limiti, non ci si può fermare, una volta che la folle corsa è iniziata: si vogliono ottenere e raggiungere percezioni di tipo nuovo, all’interno di una realtà alterata, distorta, ma che sembra l’unica possibile per raggiungere efficacemente gli scopi che ci si è prefissi.
Gli Ego 3 mi sembrano un gruppo ben affiatato, in grado di fare ottima musica, che dà una grande carica ed energia: si può poi condividere o meno il messaggio di cui si fanno portatori nella canzone, ma resta il fatto che appaiono come un trio dall’intesa perfetta, nel quale ogni parte ha il suo ruolo ben preciso e contribuisce efficacemente a dare corpo ad una forma canzone che sa stupire e provocare, stimolare e far riflettere, sensibilizzare e far drizzare le antenne.
La loro immagine, impressa nelle fotografie con le camicie bianche imbrattate di rosso sangue, mi ha riportato un po’ alla mente un altro gruppo italiano, più o meno dello stesso genere, cioè i “Tre Allegri Ragazzi Morti”, che, già dal loro nome, hanno sempre dato l’idea di scherzare un po’ con i concetti di vita e morte e che, coprendosi il viso con delle maschere, hanno voluto dare corpo ad un senso di alienazione dalla realtà che prima o poi ogni persona prova nella propria vita, che sia determinato dalle circostanze in cui si trova a vivere o dagli eccessi in cui si cimenta e che gli servono come prova per capire se riesce a restar vivo.
La musica degli Ego 3 mi ha affascinato, perché molto vicina ai generi che ascolto di solito: sono quindi curioso di ascoltare gli altri brani, per vedere se proseguiranno sulla strada intrapresa e se continueranno, come penso, ad esaltare l’eccesso come forma di liberazione dello spirito, andando un po’ in controtendenza rispetto a molti gruppi italiani del loro stesso genere.
Mi pare proprio questa controtendenza a dare una certa consistenza al progetto del gruppo, che sembra non pensare alle conseguenze che i propri testi possano avere sulla psiche delle persone, ma, se queste stesse persone sono intelligenti, sono anche in grado di trascendere il mero testo scritto e andare oltre, capendo che si tratta di una provocazione, dettata dalla voglia di liberare l’anima.