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Xpertuturbazione – Al Vox

Non c’è che dire, al nostro Al Vox piace davvero tanto giocare con le parole. Fin dal composito titolo, si ha l’impressione che la sua abilità di giocoliere esperto diventi sempre maggiore con il passare del tempo e con la composizione progressiva delle canzoni.

I suoi brani assomigliano molto a delle cartine del tesoro che vanno interpretate, per arrivare a trovare i dobloni nascosti nel forziere della lingua italiana: solo lui poteva pensare di intitolare una sua canzone attraverso la fusione e il rimescolamento di lettere e parole, che vanno a formare ulteriori termini e a creare un idioma del tutto nuovo, che certamente non si trova sui vocabolari, ma solamente nella fantasiosa immaginazione del nostro cantautore.

La “x” iniziale, se vogliamo partire proprio dal titolo nell’analisi di questo specifico brano, si può leggere anche “per”, come segno di moltiplicazione: quindi, se fosse così, avremmo questa particella elevata alla seconda, e si andrebbe a formare un accostamento che raddoppierebbe la prime tre lettere, quasi a sottolineare che lo sconvolgimento personale causato nel protagonista della canzone sia portato da qualcosa che, ad una prima lettura, resta indefinito, sospeso.

Avremmo quindi una perturbazione per qualcosa di ancora non identificato, una perturbazione che diviene anche turbamento interiore, il quale viene declinato anch’esso al femminile, per creare una parola che, seppur piuttosto intricata da pronunciare, sia allo stesso tempo in perfetta assonanza fra le varie sue parti.

La magia di Al Vox sta proprio nel creare queste nuove parole composite, con ciascuna parte che va a legarsi con la successiva in perfetta assonanza: in questo specifico caso, avremmo come detto una perturbazione che appare essere dei sensi e non atmosferica, causata da un fattore che verrà disvelato nel testo della canzone, e alla quale si va ad aggiungere una “turbazione”, che sembra essere un turbamento declinato al femminile, per avere un’omogeneità di genere all’interno della parola composta.

Sta all’ascoltatore capire da cosa sono generate questa perturbazione e questa turbazione, cercando di interpretare il testo, posto che ogni interpretazione possibile è valida proprio perché personale, e quindi insindacabile: il titolo si potrebbe quindi leggere in questo modo, “perpertuturbazione”, in un gioco di assonanze e ripetizioni che rende la nostra caccia al tesoro ancora più affasciante e coinvolgente.

Ciò che si può affermare leggendo un siffatto titolo, di primo acchito, è che la perturbazione e la turbazione appaiono essere molto forti e profonde, radicate nell’individuo: potremmo utilizzare a questo scopo una funzione matematica, quella dell’elevamento a potenza, dato che sia la particella “per” che la particella “tu” è come se fossero elevate al quadrato, perché ripetute due volte, in un gioco vocale e intellettuale che va a sfidare l’ascoltatore e a provocarlo.

Se già il titolo è un scioglilingua, possiamo solo immaginare quanto il testo sia intellegibile e interpretabile in mille modi diversi: questo testo, come si vedrà, è composto da varie allitterazioni e da vari significanti, che ci possono guidare nell’arrivare a capire il significato ultimo del tutto, ma anche ingaggiare in una tenzone all’ultimo sangue, che ci spinge a mettere in gioco tutte le nostre capacità intellettive e a deciderci a partecipare ad un duello, come se Al Vox ci avesse schiaffeggiati con un guanto di sfida.

A livello sonoro, il brano si avvia con una base che potremmo definire molto elettronica, quasi techno, con delle sequenze di suoni “artificiali” che vengono ripetute molte volte, e questo va a richiamare le ripetizioni già citate nel titolo.

La partenza è subito a briglia sciolta, non c’è un’introduzione, ma la canzone si avvia subito con grande brio: non per nulla, la prima parola che compare nel testo è “scatenati”, preceduta dalla sua prima porzione, declinata come il celebre genere musicale, cioè “ska”, anche se il brano non si svolge propriamente secondo i dettami e le sonorità di questo genere.

Lo ska è un genere piuttosto scatenato di per sé, e quindi Al Vox ha sfruttato questa sua presenza come particella iniziale per colpire l’ascoltatore con un primo gioco di parole, affermando successivamente che lui e la sua “banda” (in questo brano il nostro autore parla spesso al plurale) sono ritornati sulla scena, oppure che lui e la sua amata sono di nuovo presenti, forse meno arrabbiati di quanto lo fossero prima, ma comunque con uno spirito selvaggio, animale, che si va a contrapporre a quello di una Chiesa considerata moralista e di un mondo visto come arretrato, perché sembra credere alle teorie dei “terrapiattisti”, di quelli cioè che si ostinano a considerare la Terra piatta e non sferica.

Questa opposizione si va a trasformare in odio, che viene manifestato attraverso la propria acconciatura, un po’ come facevano i punk con le loro famose creste colorate: questa acconciatura pare essere costituita da un capello rasato, perché si parla di una caserma lunga un chilometro, una caserma che esercita la funzione di guardia nei confronti della psiche dei nostri protagonisti, e che si illude in modo illogico di riuscire nella propria impresa, quella cioè di negare che esista una perturbazione, uno sconvolgimento, che in qualche modo attanaglia le persone e le cose.

Al Vox canta con il suo consueto tono da bardo, da annunciatore della buona/cattiva novella, come se si trovasse proiettato in un Medioevo popolato da persone che vengono condizionate dai poteri superiori: la tonalità può apparire in alcuni punti non perfettamente centrata, ma secondo me è anch’essa una modalità di esternazione di una situazione di turbamento, che sfocia in note apparentemente e leggermente fuori tonalità.

Il nostro autore si trova ad essere completamente ebbro, ubriaco, e forse anche per questo l’intonazione a volte pare essere non perfettamente azzeccata: la sua ambizione è quella di non essere legato dai poteri forti, perché vuole scatenarsi e non essere inskatolato (già, ancora questo genere di musica!) come una sardina che, stretta insieme alle altre, non ha la facoltà di muoversi liberamente.

Lui in realtà si è perdutamente innamorato, e questa potrebbe essere la causa principale del suo stato psicologico e mentale, del fatto che vuole scatenarsi e non essere intrappolato, rinchiuso.

Viene quindi ripetuto il titolo, secondo due modalità, come a riaffermare che c’è uno stato di turbamento causato da un profondo innamoramento: prima Al Vox parla di “Xperturbazione” e poi di “Xpertuturbazione”, divertendosi ancora una volta a comporre delle nuove parole, che, di questo passo, entreranno presto nei nuovi vocabolari della lingua italiana.

Bello è questo gioco di ripetizioni di particelle, di allitterrazioni, perché rende il brano molto più vario e molto meno noioso, fornendo quella base fondamentale di brio che è necessaria per amare davvero una canzone.

Nel mentre, il beat di sottofondo si fa meno pesante, ma sempre presente, continuativo, come una specie di batteria elettronica che ripete sempre le medesime sequenze.

Il nostro autore assume un tono estremamente declamatorio, quasi che non ammetta di essere contraddetto, un tono sicuro, perentorio, affermativo: parla ora di un cammino, fatto di passi che si succedono l’uno all’altro, creando ciò che lui chiama “Vaganza”, in un gioco di parole che fonde il verbo “vagare” con la parola “vacanza”, quasi che si tratti di un girovagare senza una meta precisa, quasi che ci si trovi in vacanza.

Il passo poi però si velocizza improvvisamente, perché si parla di chilometri fatti di corsa, che craeano una vera e propria “Stravaganza”, una parola che, ancora una volta, è quasi un indovinello, perché vuole significare un eccesso nel proprio percorso podistico, ma allo stesso tempo qualcosa che esce dalle regole precostuite, che viene definito, appunto, stravagante.

A questo punto, il nostro protagonista afferma di sentirsi stranito, forse a causa di tutti gli accadimenti che gli sono capitati: vede in lontananza un temporale, e questa volta la perturbazione che cita e invoca sembra essere atmosferica più che emozionale e psicologica.

Arriva quasi a sussurrare la parola “perturbazione”, ma subito dopo si riprende, tornando ad assumere un piglio più deciso e fermo: lui e i suoi sodali tornano ad essere scatenati al ritmo dello ska, ma questa volta sono più innamorati della precedente, con la mente libera da ogni condizionamento, che non si fa appiattire dal piattismo, proprio perché questo amore è diventato persistente, una presenza costante nella loro esistenza, una presenza che lega senza però costringere come fanno i poteri forti, che unisce senza intrappolare.

Il desiderio è quello di non essere liberati da questo sano vincolo, per potersi scatenare: per la prima volta appare un “tu”, una seconda persona singolare a cui si fa esplicito riferimento, chiedendole di scatenarsi a sua volta.

La parte finale della parola “scatenati”, trascinata per qualche secondo, fa da collante con i versi successivi, nei quali si parla di una vita volente, quindi di una vita che sa quello che desidera, ma che potrebbe essere vista anche come qualcosa di volatile, perché siamo di nuovo in presenza di una parola che può essere vista come un mix tra il verbo “volere” e la parola “volante”.

Ritorna qui la versione più espressiva secondo me di Al Vox, perché comincia a cantare con un tono di voce più alto e più struggente, dicendo che nessuno descrive la vita stessa come nolente, cioè l’esatto contrario di quanto affermato poco prima.

Il nostro autore divaga un po’ con la propria fantasia, affermando la sua propensione al volo, nel verso “volo volare”: anche qui, abbiamo una possibile doppia interpretazione, perché “volo” in latino significa “voglio” e in italiano è voce del verbo volare.

Mi sembra che venga comunque espresso un desiderio forte di librarsi nell’aria, sopra tutte le trappole che può riservare la vita e sopra a tutte le costrizioni che i poteri forti esercitano sulle persone.

Librarsi nell’aria verso un paradiso ancestrale, quindi verso un luogo di felicità e di compiutezza, che si trova in un passato non meglio definito, che farebbe fare un balzo indietro nel tempo al nostro protagonista (forse il Medioevo?).

L’interpretazione di Al Vox è intensa, forte, corposa: ritorna il tema dei passi, perché lui afferma che passo dopo passo si arriva alla perturbazione, in un viaggio che porta ad uno sconvolgimento dei sensi o comunque delle forze della natura.

Questa perturbazione viene ora definita come perpetua, quindi essa sembra durare per sempre, senza soluzione di continuità: è positiva se causata dall’innamoramento, al contrario è negativa se legata a fattori esterni di turbamento.

L’interpretazione del nostro cantautore assume in questa parte di brano sfumature sempre diverse, andando dal sussurro alla manifestazione forte e chiara di un sentimento interiore, della voglia di rinascere, di volare e di scatenarsi, insieme a chi lo circonda e gli vuole bene.

Tutto ciò porta Al Vox a definire sé e i suoi “fedeli” come degli animali, forse perché seguono l’istinto, qualcosa di primordiale e primigenio: questi animali sono forse un po’ arrabbiati con il mondo, ma, da quando sono tornati, si trovano in una condizione di innamoramento, che attutisce un po’ l’arrabbiatura.

Parlando di istinti, entra in gioco la natura, l’ambiente circostante, che assume il ruolo di insegnante: i nostri apprendono che quando c’è l’amore ogni tipo di regola scompare, così come quando c’è il bene e quando c’è la fama di possedere il pane caldo per scaldare la propria giornata, che appare essere, guarda caso, perturbata.

La canzone si conclude dunque con questa parola, cantata in maniera quasi robotica, come se per un attimo i Daft Punk o i Kraftwerk avessero preso possesso del microfono, per un brevissimo istante.

Alla fine, ci resta un brano poco classificabile in un genere ben definito, perché fa molto uso dell’elettronica, nel beat che fa da sottofondo al cantato, beat che va a modularsi progressivamente a seconda della parte di canzone a cui fa da base, passando da una dimensione più “rumorosa” ad una dimensione più soft, più soffice, ad un volume che passa dall’essere molto alto all’essere piuttosto basso.

Diciamo che la canzone può essere descritta come un’opera elektro-pop, nella quale Al Vox dimostra tutto il proprio talento nell’utilizzo delle parole, nella loro combinazione e nella loro fusione, quasi che fosse un mago che con la propria bacchetta magica riesce a mettere tutto in ordine, tutto al posto giusto.

Non mi dilungherò oltre sulla bravura di questo artista, perché ho già avuto modo di esaltarla in altre analisi: dico solo che a volte mi sembra di sentire un moderno Battiato, che decostruisce e ricostruisce a suo piacimento la lingua italiana e rende minimale la forma canzone, utilizzando esclusivamente un beat elettronico di sottofondo, che viene modulato in base all’interpretazione canora dell’artista.

E’ quasi impossibile non restare colpiti nel profondo dalle composizioni e dalle interpretazioni di Al Vox, che personalmente ho eletto a bardo della musica italiana, un bardo che annuncia la propria novella e racconta una storia in cui tutti si possono ritrovare, se riescono ad interpretare le sue numerose metafore e i suoi tanti giochi di parole.

La sua musica e i suoi testi sono belli proprio perché si prestano a varie interpretazioni, tutte valide proprio perché personali: ogni volta che devo commentare una sua canzone, mi sento un po’ orgoglioso e un po’ privilegiato, oltreché un po’ curioso, perché con lui non sai mai a cosa puoi trovarti davanti, e lo puoi scoprire solo dopo aver ascoltato più di una volta le sue opere di ingegno musicale.

Faccio quindi i miei complimenti ad Al Vox e gli dico ancora una volta di continuare a stupire, come ha fatto finora.

Intanto gli dico grazie e lo rinvio al prossimo appuntamento con una sua nuova canzone, sicuro che sarà qualcosa di emozionante e capace di toccare nel profondo.

 

 

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