Guardando il TG1, l’altra sera, mi sono imbattuto nella notizia che i Negramaro hanno collaborato con Elisa e Jovanotti nella produzione di un singolo inedito, intitolato “Diamanti”.
Incuriosito dalla cosa, sono andato ad ascoltarmi la canzone, chiedendomi se tre mostri sacri della musica italiana avessero o meno prodotto una canzone che lasciasse un segno indelebile nella storia in musica di questo inizio di 2023.
Il primo pensiero che mi è saltato alla mente alla fine dell’ascolto è stato sulla semplicità e sull’estrema linearità della melodia e degli arrangiamenti, due elementi che nel brano diventano veramente essenziali, molto probabilmente per lasciare libero sfogo alle voci dei cantanti: all’inizio, c’è un semplice beat che si ripete in modo piuttosto insistito, per poi trasformarsi gradualmente in una serie di robuste pennate di chitarra acustica.
A livello puramente emozionale, devo dire che mi aspettavo qualcosa di più, anche se la canzone, subito dopo averla ascoltata, si è impressa nella mia mente nei suoi tratti essenziali, soprattutto nel ritornello: bisogna ammettere che la sua strutturazione è stata secondo me pensata anche per scopi “radiofonici”, perché essa fosse facilmente programmabile in radio e accessibile ad un vasto pubblico e perché piuttosto essenziale nella sua architettura generale, come detto in precedenza.
E’ innegabile che sia Giuliano Sangiorgi che Elisa posseggano delle bellissime voci: proprio per questo mi sembra che potrebbero essere utilizzate per cantare canzoni più complesse, più articolate, che non siano dei brani di facile fruizione e appetibili su larga scala: credo che, a partire da Sanremo, questo sia l’indirizzo delle case discografiche, che si preoccupano maggiormente dell’ampia fruibilità dei brani dei propri artisti che della complessità e della varietà interna delle canzoni stesse, dato che il trend del momento, soprattutto in questo momento, è quello di fare in modo che la musica italiana venga riprodotta il maggior numero di volte nei servizi di streaming audio e visualizzata il maggior numero di volte nei servizi di streaming video, visto e considerato che i fattori che comportano il successo di un brano musicale sono notevolmente cambiati rispetto al passato, proprio grazie all’avvento dei servizi sopraccitati.
Il testo, comunque, conserva una sua carica evocativa di base, perché è costituito da varie immagini che si susseguono e che parlano molto probabilmente di un rapporto amoroso piuttosto “movimentato” e contrastato, nel quale i due amanti si fanno del male reciprocamente, sia restando insieme che restando staccati l’uno dell’altra.
Se Giuliano ed Elisa cantano, Jovanotti esegue la parte che gli riesce meglio, quella cioè di rappare e di declamare versi con tanta grinta e con tanto trasporto: credo che sia questo, più che la parte interpretata dai suoi due compagni di avventura, il segmento che riesce a trascinare maggiormente l’ascoltatore, a portarlo su una dimensione immaginifica, in cui i giochi di parole e il loro utilizzo sono funzionali alla creazione appunto di immagini che, nella loro articolazione, consentano agli ascoltatori di dare ciascuno la propria interpretazione personale a quello che sente.
La canzone gioca molto sui vari significati che possono assumere le stesse parole, se calate in contesti differenti tra loro o comunque inserite all’interno di versi che consentono all’ascoltatore di essere interpretati in modalità differenti, magari cambiando solamente l’accento di alcune parole o facendo mutare il significato di alcuni termini chiave del testo, attraverso un contestualizzazione verbale differente.
La canzone possiede una capacità di fondo di emozionare chi lo ascolta, ma, come detto in precedenza, da tre grandi personalità della musica italiana, mi aspettavo forse qualcosina in più su questo versante, anche se tutti sembrano fare del proprio meglio a dare tutti sé stessi nell’interpretazione del brano: ho avuto l’impressione che Elisa e Giuliano abbiano voluto rappresentare la parte più “concreta”, se così si può definire, del pezzo, mentre Jovanotti si esprimeva per immagini, metafore e sensazioni, come è abituato a fare quando canta le proprie canzoni.
Ciò che mi ha un po’ deluso e che non mi è piaciuto del brano che ho ascoltato è stato quell’utilizzo, quasi forzato ed eccessivo, delle parolacce, di termini scurrili, dei quali secondo me si poteva fare sicuramente a meno.
Probabilmente, questi termini sono stati inseriti all’interno del pezzo proprio per comunicare la difficoltà e l’incapacità di essere “normale” della relazione amorosa rappresentata nel testo: a ben guardare, gli amanti dei giorni nostri, quando si trovano in situazioni intricate sul versante sentimentale, fanno spesso uso di parolacce, dato che alcune di esse sono diventate a tutti gli effetti degli intercalari, delle modalità di arricchire il discorso, di dare enfasi a certe parti di quello che si sta dicendo. Non stupisce, quindi, che, nel parlare di un sentire, di un sentimento “disordinato”, del fatto che amare e odiare l’altra persona sembrino causare lo stesso effetto doloroso, il tutto venga enfatizzato con l’inserimento di parolacce.
L’intensità del brano, in alcuni punti, è piuttosto elevata, ma a livello complessivo, secondo me, manca qualcosa per poter affermare con certezza che siamo di fronte ad una canzone che riesce a scandagliare e a mostrare tante delle varie sfaccettature di un amore contrastato, che riesce a sviluppare e a far risaltare tutte le sfumature possibili di una relazione che possiede in sé dei punti di sofferenza molto sostenuti e importanti.
Alla fine, siamo in presenza di un buon brano pop, essenzialmente pop, perché lo strumento dominante è la chitarra acustica, che si muove in uno spazio all’interno del quale sembra non trovare ostacoli di sorta, visto che non si avverte la presenza di altri strumenti, forse solo della batteria.
Il tutto è concentrato sul conflitto interiore insito in una relazione amorosa che presenta molte difficoltà, nella quale si arriva a negare che si è tristi e che si sta piangendo, affermando che si tratta solo di vento negli occhi: ci sono poche parole da dirsi, si è consapevoli che odiarsi sembra peggio che amarsi, ma si denuncia parallelamente l’impossibilità di amare veramente.
Si arriva ad ammettere che gli errori commessi sono stati tanti, e che quindi si è giunti ad un punto in cui è difficile porre rimedio a questi: il tutto è poi alimentato dal contrasto di sentimenti descritto precedentemente, all’interno del quale viene rappresentato sia il dolore di stare l’uno in presenza dell’altra, sia il dolore insito nello stare distaccati.
La cosa che mi ha più colpito della canzone è proprio l’assemblaggio in un tutto compiuto della parte cantata da Elisa e Giuliano e della parte rappata, verbalmente scandita di Jovanotti, entrambe evocative a loro modo, la prima attraverso la varietà dei significati delle parole, la seconda attraverso il potere evocativo delle immagini.
Nonostante il fatto che personalmente mi sarei aspettato qualcosina di più dai nostri tre protagonisti, non posso negare che questo brano è in qualche misura capace di destare la parte emozionale di ciascuno di noi: forse sono stato influenzato dall’utilizzo eccessivo delle parolacce, forse mi ha traviato quella sorta di pregiudizio che ho verso la musica italiana attuale, forse avevo delle aspettative esagerate sulla possibile qualità di una produzione di tre artisti che stanno scrivendo la storia della musica nostrana, fatto sta che posso dire che la canzone ha raggiunto parzialmente il suo scopo, emotivamente parlando, sul sottoscritto.
Può darsi benissimo che, al contrario, il brano in questione sia riuscito a creare una “valanga emozionale” in altri ascoltatori, magari perché sono più sensibili di me al potere emotivo di una canzone, magari perché si sono identificati perfettamente nella situazione descritta dai versi, dato che l’hanno vissuta in prima persona e hanno trovato finalmente degli artisti che sono riusciti a raccontarla compiutamente.
La musica è bella per questo: perché riesce a suscitare in persone diverse delle emozioni diverse, perché riesce a toccare corde del cuore diverse in persone differenti, perché può essere interpretata in modi diversi da persone diverse.
E’ indubbio che l’articolazione interna del pezzo e la sua strutturazione siano state ben pensate e ben strutturate, perché la parte di Jovanotti si va ad incastrare perfettamente all’interno dello sfumare di quella di Elisa e di Giuliano, perché esiste una diretta consequenzialità tra le due parti, perché l’avviarsi di una si inserisce molto bene nel progressivo affievolirsi dell’altra.
Sono sicuro che questo brano avrà un grande successo in radio e che riceverà molte visualizzazioni e molte riproduzioni sui sistemi di streaming audio e video: potremmo dire che è proprio per questo che è stata composta e musicata, vista la tendenza delle case discografiche a seguire pedissequamente i trend del momento, sia in termini di ascolto che in termini di riproduzione di un determinato brano.
Ciò che mi fa un po’ specie è che a volte sembra proprio che una canzone prenda forma già con l’obiettivo di ottenere ascolti, visualizzazioni e riproduzioni, e che questo vada spesso a discapito della qualità dei contenuti e della qualità intrinseca della musica e delle parole.
Diciamo che il brano di Elisa, Giuliano e Jovanotti può essere collocato in una sorta di “limbo”: alla sua base ci sono sicuramente dei ragionamenti fatti nell’ottica che ho descritto appena qui sopra, ma i tre riescono comunque a comunicare delle sincere emozioni, perché i versi creano un’atmosfera che ben descrive la conflittualità insita nel rapporto che vogliono rappresentare.
Forse questo suo trovarsi in una sorta di “terra di mezzo” può far pensare ad un ascoltatore più attento che i tre protagonisti avrebbero potuto dare ancora quel qualcosa in più, in grado di rendere la canzone perfettamente aderente ad una logica di rappresentazione “struggente” di una vicenda amorosa: da una parte ci sono state sicuramente delle pressioni delle case discografiche, per rendere la canzone maggiormente fruibile ad un pubblico vasto, dall’altro c’è stata l’opposizione dei tre artisti, che volevano creare un’opera di ingegno che fosse valida, sia dal punto di vista della melodia che da quello della scrittura.
Sono convinto che, nel tempo in cui ci troviamo, gli artisti di punta della nostra discografia si trovino spesso a mediare fra queste due tendenze: faccio a questo proposito l’esempio di Giorgia, la quale potrebbe cantare qualsiasi tipo di genere musicale, dal gospel al blues, dallo swing al jazz, fino al rock, ma che è, come mi ha detto una mia amica cantante, quasi “costretta” dalla propria casa discografica a cantare canzoncine che sono destinate inevitabilmente e tristemente al dimenticatoio dopo un po’ di tempo. Chi si ricorda la sua ultima canzone del Festival di Sanremo del 2023? Solo o prevalentemente gli ascoltatori di Radio Italia, rispondo io.
Concludo dicendo che, nella cronica desolazione del panorama musicale attuale, nel quale prevalgono gli artisti trap e rap, che fanno miriadi di riproduzioni e visualizzazioni, una canzone come quella di Giuliano, Elisa e Jovanotti può tutto sommato creare una “bolla” nella quale trovare musica di discreta qualità, che scende a compromessi con le case discografiche, ma che allo stesso tempo cerca di mantenere una certa autonomia compositiva e melodica, data anche la statura e la levatura dei tre artisti.
Devo essere sincero: a me piace sempre ascoltare la voce di Elisa, in qualunque brano e in qualunque situazione, quindi può anche andare bene così, si può anche passare sopra a qualche sfumatura di troppo di radiofonicità, concentrandosi sulle buone e gradevoli sensazioni che provoca l’ascolto di una delle voci che si preferiscono.
Ripeto che, nel panorama musicale italiano attuale, la canzone di cui ho parlato può rappresentare un buon esempio di scrittura e di cantato: teniamoci quindi stretta una canzone di questo tipo, che non può far altro che alzare il livello medio e diventare un’isola felice all’interno di un mare di desolazione, pur con i suoi compromessi e con il suo scendere a patti con le esigenze di più parti.
Il titolo “Diamanti” mi ha riportato subito alla mente la canzone “Diamante” di Zucchero, uno dei suoi più grandi successi, che se non vado errato è stata scritta da De Gregori: ma qui siamo decisamente su di un altro livello, e non potrebbe essere altrimenti.