Giovedì scorso, 26 gennaio, ho avuto modo di partecipare alla presentazione del disco in vinile intitolato “Santa Tecla, io c’ero”, contenente alcune tra le più belle composizioni realizzate nel locale culto della musica jazz milanese, il “Santa Tecla”, e realizzato dal produttore discografico Massimo Monti della “Musicians&Producers” e dal maestro Enrico Intra, con la produzione di Codiceicona.
Quest’ultima realtà del design e dell’architettura italiana ha riproposto il celebre “Carrello Musica”, opera nata nel 1968 dalle sapienti mani di Joe Colombo, in grado di asservire a diversi scopi, tra i quali l’ascolto dei vinili e il loro posizionamento in spazi appositi, il tutto all’interno di una struttura compatta, multifunzione e mobile.
Codiceicona ha collaborato per il progetto con l’architetto Ignazia Favata dello studio Joe Colombo, la quale, intervenendo durante la serata, ha parlato delle varie passioni di Joe, tra le quali si potevano annoverare quella per l’arte, per il design e soprattutto per la musica jazz: non a caso, egli aveva contribuito a creare l’architettura interna dello stesso “Santa Tecla”, costruendo una struttura nella quale i migliori artisti del capoluogo meneghino potessero ritrovarsi a discutere tra loro e a dare sfoggio della loro arte, non solo durante le serate e le nottate, ma durante l’intero arco del giorno.
Il vinile celebrativo contiene dunque una selezione di brani eseguiti dagli artisti più celebri che hanno calcato il palco del “Santa Tecla” negli anni ’50, da Enrico Intra a Sante Palumbo, da Paolo Tomelleri a Emilio Soana, da Guido Manusardi a Franco Cerri.
Il locale raccoglieva in sé i fermenti artistici e il talento interpretativo delle migliori menti musicali e non di Milano nella metà del XX Secolo: oltre ai musicisti jazz citati, erano sempre presenti all’interno del locale personalità eminenti della cultura italiana, quali Giorgio Gaber, Dario Fo e Adriano Celentano.
Proprio un disegno di Dario Fo, che raffigurava in modo fantasioso e colorato l’interno del “Santa Tecla” con i personaggi che lo frequentavano, ha fatto da copertina al disco celebrativo: significativa a tal proposito è la frase da lui inserita in alto, che recitava “Nel primo dopoguerra al “Santa Tecla” di Milano sono nate le prime band di jazz”.
Il locale è stato dunque un modello sotto molti punti di vista, sia per il suo design interno innovativo, che per la musica che sul suo palco veniva suonata: ora purtroppo non esiste più, ma il disco celebrativo è stato creato appositamente per ridare vita alla magia che tra le sue mura prendeva corpo ogni singolo giorno.
La cornice dell’evento di presentazione è stata suggestiva: nel chiostro Nina Vinchi del Piccolo Teatro di Milano, luogo dall’affascinante bellezza e dall’acustica molto buona, le persone che hanno assistito all’evento hanno potuto ascoltare, come introduzione, un piccolo concerto di musica jazz, eseguita al clarinetto dal maestro Paolo Tomelleri, accompagnato per l’occasione da due giovani musicisti, un chitarrista e una contrabbassista, che non hanno esitato a mostrare tutto il loro talento, esibendosi anche in alcuni brevi assoli, per il piacere delle orecchie degli astanti.
Successivamente, hanno preso la parola alcuni fra i protagonisti già citati sopra, dalla stessa Ignazia Favata al maestro Enrico Intra, il quale ha affermato che suonare nel “Santa Tecla” è stata una palestra, una scuola di musica e di vita per tutti i jazzisti milanesi degli anni ’50, aggiungendo che la cultura jazz deriva dall’unione di diverse filosofie musicali, nello specifico quella ebraica, quella africana e quella europea e che il locale culto del jazz milanese era aperto ventiquattr’ore su ventiquattro, non solamente di notte, e quindi dava la possibilità agli artisti di incontrarsi ed esibirsi a tutte le ore del giorno.
Intra ha poi concluso il proprio intervento affermando che il jazz non è solo improvvisazione, ma che viene suonato secondo strutture ben delineate e ben definite, sulle quali poi è possibile eseguire delle variazioni.
Un breve intervento è stato poi fatto dal maestro Tomelleri, il quale ha detto che entrare nel “Santa Tecla” era come immergersi in un mondo altro, in un ambiente quasi magico, fatato, di fantasia, nel quale la mente e lo spirito potevano librarsi nell’aria e trovare un’atmosfera mistica che faceva scomparire tutto ciò che si trovava all’esterno, con le sue pareti foderate di manifesti, altro mezzo in grado di diffondere la cultura e il pensiero fra le persone.
E’ intervenuto inoltre anche un giovane architetto e designer di Codiceicona, che ha spiegato l’operazione di recupero fatta sul “Carrello Musica”, sottolineando che è un pezzo di design che a tutt’oggi non si trova in commercio, sia per il suo alto costo che per la sua complessità strutturale, e aggiungendo che la stessa operazione di recupero è servita per riportare in vita i tempi belli di una Milano che non esiste più, nella quale gli artisti avevano molteplici passioni e interessi, dalla musica al disegno, dall’arte alla storia.
Alla fine dell’evento, ci è stato offerto un buon aperitivo, durante il quale ho avuto modo di essere presentato ad alcuni dei mostri sacri della musica jazz milanese protagonisti della serata: mi sono intrattenuto per molto tempo in particolare con il maestro Manusardi, pianista jazz che in ottantotto anni di vita ha girato praticamente tutto il Mondo, dai paesi nordici all’America.
Ha tenuto molto a sottolineare, con un certo orgoglio, che sono stati gli americani a chiamarlo per suonare da loro, riconoscendo il suo talento artistico: il suo nome aveva attraversato dunque l’Oceano.
La conversazione si è poi spostata sulla musica italiana di oggi, parlando della quale il maestro non ha usato mezze misure, dicendo che non vale niente rispetto a quella che veniva concepita e suonata nel passato: Sanremo è ormai un passatempo per casalinghe annoiate e lui vorrebbe fuggire dall’Italia; l’unica cosa che lo trattiene qui è il fatto che sia riuscito a trovare un ambiente tranquillo in cui vivere e scrivere e suonare musica per tutto il giorno, con uno dei suoi nipoti che si siede per terra vicino a lui e gli chiede sempre di suonargli qualcosa.
Da parte mia, ho espresso il mio completo accordo con quanto mi ha detto il maestro dall’alto della sua esperienza e saggezza: è probabile che in uno dei prossimi articoli io fornisca una spiegazione a questa mia opinione.
Prima di concludere la serata, ho avuto modo di parlare con Barbara, l’organizzatrice dell’evento per conto di “Musicians&Producers”, scoprendo che anche lei è sulla mia stessa lunghezza d’onda: ad un bambino che le ha chiesto per Natale l’ultimo disco di Marco Mengoni, lei ha regalato anche l’intera discografia di Bruce Springsteen e dei Pink Floyd.
Ha lasciato dunque il Teatro piuttosto soddisfatto, sia per l’evento, che mi è piaciuto molto, che per il fatto di aver incontrato dei mostri sacri del jazz italiano e di aver trovato persone che la pensano come me in fatto di musica.
Il tutto è stato ben organizzato, e, nella cartella stampa che mi è stata fornita come presentazione dell’evento, ho trovato anche il cd dell’opera celebrativa, cosa che mi ha fatto molto piacere: ascoltarlo sarà come rivivere in qualche modo un’epoca d’oro della musica e della creatività italiana, immedesimandosi nei personaggi illustri che la popolavano e immaginando di essere lì a suonare con loro.
Per concludere, posso dire che una delle cose che mi ha dato più soddisfazione è stato il vedere due ragazzi giovani che accompagnavano l’anziano maestro all’inizio della serata, segno che c’è ancora spazio per il jazz e la musica d’autore tra le nuove leve: su questi ragazzi è necessario costruire il futuro del nostro Paese, basandolo su pilastri solidi, che impediscano a tutta la nostra costruzione, eretta in decenni di paziente lavoro, di crollare.
Dal canto mio, sono ansioso di poter partecipare ad altri eventi di questo tipo, perché fanno indubbiamente bene al cuore e all’anima, e fanno capire che in Italia c’è ancora un po’ di spazio per la buona musica: è sufficiente andarlo a cercare, con pazienza e determinazione.