Devo ammettere che, non appena ho letto il titolo della canzone di Trunchell, mi è venuto subito alla mente un brano nientemeno che di Ozzy Osbourne, presente nel suo ultimo disco in studio e intitolato “Patient n.9”.
Come il nostro cantautore, anche il principe delle tenebre ha utilizzato il nove come numero simbolico, come rappresentazione di un contenuto che sembra legato a qualcosa di buio, di oscuro, in cui non c’è spazio per la luminosità e per la luce.
Anche Trunchell, come Ozzy, vuole dare di sé un’immagine nella cui essenza prevalgono le tinte del nero, del fosco, del tenebroso: non per nulla viene definito come l’elegante principe del gothic rap italiano, e qui l’analogia con l’ex vocalist dei Black Sabbath ci sta tutta, perché anche Ozzy è sempre stato associato a un’idea di oscurità, di tenebra e di buio profondo; nel suo ultimo album, già citato in precedenza, egli appare vestito con un elegante completo interamente nero.
Siamo quindi in presenza di due principi, che vogliono dare di sé le medesime sembianze, anche se si parla di due generi musicali diversi, nonostante il pezzo del nostro autore veda la presenza di una linea melodica di chitarra, che accompagna il cantato (meglio dire il parlato).
Non mi stupirei se Trunchell, durante la notte, vagasse per la sua città trasformato in pipistrello, alla ricerca di sangue fresco di cui nutrirsi: ricordiamo che Ozzy, durante un concerto, è arrivato a staccare la testa a morsi ad un pipistrello, credendo che fosse finto.
L’immagine che presenta il nostro cantautore è infatti molto simile a quella di un vampiro, con il cappotto nero e gli occhi dipinti con l’eyeliner nero, con lo sguardo truce di chi sembra non conoscere il sorriso e rinasce quando arriva la notte.
Se, dopo questa introduzione, passiamo ad analizzare nello specifico la canzone che ci viene da lui proposta, vediamo che essa prende avvio da alcuni accordi suonati da una chitarra elettrica, a cui si abbinano alcune brevi esclamazioni, delle quali non è facile intuire il significato, perché sembrano provenire dal profondo di una caverna.
La serie di accordi elettrici prosegue per i primi 25 secondi del brano: successivamente, si ode un suono che assomiglia a quello di un piatto di una batteria, che va ad introdurre il cantato di Trunchell, caratterizzato da una voce cavernosa, profonda, distillata nel mistero e nell’oscurità: si può intuire che il nostro cantante sia un ragazzo giovane, che preferisce dare un’impronta di struggimento, sofferenza e passione alla propria vocalità, invece che di freschezza e solarità.
Il nostro cantautore inizia dispiegando una serie di visioni, che appaiono come allucinate, visionarie appunto, appartenenti ad un’interiorità profondamente oscura e buia: egli vede dei corpi che si muovono attorno a dei corvi, volatili questi ultimi che spesso vengono associati alla morte, alla mancanza di vita, i quali per puro caso sono anch’essi neri come la pece ed emettono dei versi piuttosto inquietanti e maligni.
A questa immagine, per così dire, naturale, se ne affianca subito un’altra più umana: Trunchell dice di vedere degli occhi intrisi di ricordi e sembra cominciare a parlare della propria esperienza diretta, perché prosegue affermando di aver messo dei rimorsi in braccio ai propri nonni, magari perché sente di non essersi comportato nel modo corretto con i propri familiari, sprecando a volte quanto di bello poteva venire da un abbraccio delle persone care.
Il nostro cantautore non deve aver comunque avuto un’infanzia semplice, perché dice di aver sputato sangue, quindi di aver sofferto molto, aggiungendo che adesso è arrivato il tempo in cui chiede di essere rimborsato per tutte queste sofferenze.
Per esorcizzare tutto ciò, egli chiama all’appello la propria amata, perché vuole spiegarle com’è la situazione: i due, stesi sul letto, si concedono un goccio di vino pregiato, mentre condividono le proprie esperienze di vita più profonde.
Alla sua lei sarebbe andato bene anche un vino meno pretenzioso, ma lui ha voluto per così dire esagerare: appare a questo punto una prima immagine legata all’arte, segno che il nostro autore ha un certo gusto per le cose belle, forse perché non ha potuto godersele appieno da piccolo; mi sembra di vedere lui con la testa appoggiata al ventre di lei, magari perché è incinta, lui che poi la solleva per delineare con le dita sulla pancia della sua amata dei tratti che la sua fantasia associa a dei quadri di Monet.
A livello musicale, l’accompagnamento chitarristico si fa progressivamente più consistente, per seguire il crescendo emozionale che traspare dalla voce di Trunchell, che ci dice che non abbina mai le scarpe al resto dell’abbigliamento e che mette sempre il cappotto sopra il gilet: immagine questa che mi ha fatto pensare ad un personaggio di Batman, il Pinguino, che ha sempre fatto di un’eleganza un po’ sgraziata il proprio marchio di fabbrica.
Arriva quindi una riflessione sulla musica: la persone tendono infatti a dire, secondo lui, che si tratti di un mondo a parte, forse perché è necessaria una grande sensibilità per capirla e intuirla a fondo; ammette che, quando si trova a scrivere, pensa ancora alla propria amata, probabilmente perché costituisce una delle sue principali fonti di ispirazione.
A questo punto, la canzone raggiunge un climax, perché la progressione citata in precedenza sembra arrivare ad un momento di sospensione, dopo il quale tutte le parti del brano stesso sembrano aumentare di intensità, per cantare quello che appare essere il ritornello.
Dico cantare perché il nostro cantautore sembra iniziare a farlo, dopo aver parlato e rappato nella lunga strofa introduttiva: si tratta sempre di un canto che fa della sofferenza la propria matrice stilistica, perché alcune parole sono trascinate a lungo e si può scorgere un senso di pura malinconia nel substrato di ciò che viene detto.
In questa parte di brano sembra disvelarsi un rapporto amoroso costruito sulla menzogna reciproca, perché lui non chiede mai alla sua lei come sta, dato che sa già che lei stessa gli mentirà, che risponderà di sentirsi bene anche se in realtà è a pezzi: lui vuole occuparsi di questo rapporto d’amore, che sembra anche basato sugli eccessi (mi viene in mente il vino pregiato di cui sopra), eccessi che ha intenzione di ricucire, per fare in modo che tutto ciò che tiene insieme la coppia non si autodistrugga, non si sfaldi, ma resti unito, come le varie parti di una coperta cucita con sapienza.
La cosa è comunque reciproca, perché Trunchell dice che anche la propria lei non chiede mai a lui come sta perché sa che otterrà come risposta una bugia, che lui dirà di stare bene anche se in realtà si sente a pezzi.
L’impegno serio e autentico che lui vuole metterci è quello di ricucire i pezzi di un rapporto che sembra progressivamente sfaldarsi, in mezzo a degli eccessi che magari possono portare ad una felicità momentanea, che di certo però non è destinata a durare a lungo.
Dopo questa esplosione di musica e vocalità, si ritorna al parlato introspettivo degli inizi: si descrive qualcosa che si denuda per fare la corte alla felicità del protagonista, qualcosa che può essere sia la persona che ama sia la pioggia che compare nel verso successivo.
Ci sono quindi anche degli spazi per momenti di felicità, ammette l’autore, anche se questa felicità viene insidiata da questa entità che si spoglia di tutto il suo essere: inizia a piovere sopra la città in cui egli si trova, una pioggia muta e silenziosa, una pioggia di quelle leggere, che scendono calme e irrorano con costanza il terreno, senza trasmettere un messaggio particolare con il suo suono caratteristico, quasi che sia costituita dalle lacrime generate dal rapporto amoroso che si sta sfaldando e del quale è necessario ricucire i pezzi.
In una situazione apparentemente così complessa, Trunchell si rivolge al potere della musica, imbracciando la chitarra come se dovesse abbracciare un quadro di Braque: qui ritorna per la seconda volta un’immagine artistica, segno ancora una volta della passione del nostro autore per l’arte e per i pittori, quasi che la brillantezza dell’arte stessa fosse qualcosa che mitiga la sofferenza insita nella propria vita interiore.
Sale al contempo, però, anche la Paranoia, chiamata signora e scritta con l’iniziale maiuscola, quasi che fosse una persona pure lei, che ha il compito di portare via il nostro autore dal mondo in cui si trova intrappolato, trasportandolo in un mondo in cui le parole non esprimono il ricordo solamente di alcuni volti, ma invece di intere persone, percepite nella loro completezza e nella loro organicità: il nostro autore appare stanco di trovarsi davanti solo dei volti con cui parlare, volti che si dissolvono velocemente; vuole parlare con persone complete, che siano entità spirituali e corporee insieme, per non restare più deluso.
Resta il dolore nei suoi occhi, portato da una vita fatta principalmente di sofferenze, che trova liberazione solo nella musica e nell’arte: quello che scrive è la testimonianza più vera di tutto ciò, e, se la sua penna potesse ricordare tutto, sarebbe una testimone insindacabile di questo dolore profondo.
A livello musicale, abbiamo una linea melodica che torna ad essere essenziale, con un beat ridotto a sottofondo: arriva l’invito da parte di Trunchell ad entrare nella sua stanza (dei segreti? Del dolore? Dell’amore?), che non è troppo grande, ma che lui spera possa piacere al destinatario del suo invito, che può essere sia reale che immaginario.
Torna poi un’immagine che racconta altro dolore, perché si parla di angeli del male come il famoso terrorista Vallanzasca, uomo che la Polizia ha ricercato all’infinito, angeli del male che lo annegano in una vasca, quasi che applicassero uno dei trattamenti che vengono riservati alle persone che vogliono costringere a parlare con un interrogatorio violento.
A causa di tutto questo, il nostro cantautore dice che si è sentito come morto, a un passo dalla fine di tutto: le sue urla venivano scambiate da chi gli stava vicino per preghiere, e quindi travisate, perché la sua sofferenza non era compresa e capita come era necessario che fosse.
Gli veniva detto che il dare è avere, come se il bene fatto agli altri alla fine potesse tornare indietro: lui in realtà si trova sul fondo del bicchiere, forse perché ha deciso di annegare la propria vita nell’alcol o forse perché è giunto ad un punto di non ritorno, da cui è difficile riemergere.
Trunchell è intenzionato a fornire le coordinate precise della valle di dolore in cui è caduto, spiegando, molto probabilmente alla sua lei, il quando e il dove, il quanto e il come, quindi tutto quello che lo ha portato a trovarsi dove si trova adesso.
La invita a prendere appunti sul proprio block notes, per non scordarsi nulla, e qui ritorna l’affermazione fatta in precedenza, quella cioè che la penna è testimone di tutto quello che succede e accade.
C’è infine un’affermazione che sembra in qualche modo esprimere una positività di fondo, perché l’autore dice che il buio alla fine cadrà sempre altrove, quindi lontano da loro, ma il verso successivo non fa presagire nulla di buono, perché “game over” significa “fine della partita”, quasi che il nostro cantautore non avesse più gettoni da inserire nel gioco della vita per proseguire la partita, o magari perché il fatto di aver acquisito che il buio cadrà sempre altrove ha chiuso in qualche modo il cerchio, creando uno spazio in cui le sofferenze possono essere affrontate e messe poi da parte.
L’invito è ancora quello di passare da lui, nella camera n.9 che fa da titolo alla canzone, quasi che la sua esistenza si sia ridotta a vivere in una camera d’albergo e non in una casa normale: questo può anche simboleggiare una stanza virtuale presente nella mente del protagonista, nella quale si racchiudono tutti i ricordi e tutti i dolori di una vita.
Il numero 9 è stato scelto perché tutti i suoi multipli alla fine ritornano ad esso: il doppio di 9 è 18, e, se sommiamo le due cifre, otteniamo ancora 9, e così via per tutti gli altri multipli.
Si potrebbe dire che il numero scelto sia un numero circolare, che attrae tutto a sé e ha una potenza evocativa molto forte, così come ce l’ha nella canzone di Ozzy citata all’inizio di questo pezzo.
Riparte quindi ancora il ritornello, con un’intensificazione della linea melodica e del parlato che diventa cantato: nessuno dei due chiede all’altro come sta, perché sa già che la risposta sarà una bugia.
Quello che resta da fare è prendere l’amore che provano l’uno per l’altra e cercare di ricucirne i pezzi, passando anche attraverso gli eccessi, i quali forse sono l’elemento che più ha causato sofferenza e dolore.
La canzone si conclude con un lungo assolo di chitarra piuttosto interessante, nel quale sembrano sfogarsi tutte le frustrazioni dell’autore, le sue pene, i suoi dolori, e i suoi sforzi di ricucire tutto in un insieme coerente.
Trunchell, pochi secondi prima della fine del brano, urla “Camera 9”, riassumendo in un numero tutto il senso della canzone, la circolarità del dolore, della sofferenza, la rappresentazione di un’intera vita fatta di buio e oscurità.
Alla fine, ci resta un buon brano che oserei definire come indie-rap, perché alla parte parlata si unisce la linea di chitarra che si irrobustisce nel ritornello e nella quale trova spazio anche un assolo finale.
La canzone è ben cantata, ben prodotta e possiede un’articolazione e una struttura interna ben definite: il modo di cantare di Trunchell è molto particolare, perché mostra un intenso struggimento, un’intensa sofferenza, un’urgenza di esternare un messaggio anche se questo fatto può causare dolore.
L’accoppiata voce/chitarra in questo caso è vincente, perché fornisce una base sulla quale si vanno ad installare tutte le problematiche che l’autore ha intenzione di esternare e comunicare, una vita di coppia che rischia di sfaldarsi, anche a causa degli eccessi, un’esistenza minata dalla sofferenza e dal dolore.
In questo caso, comunque, l’esternazione del dolore funge da catarsi, perché permette di esorcizzare e mitigare il dolore stesso: molte volte, tenersi dentro le sofferenze causa uno struggimento ancora maggiore, mentre esternarle, comunicarle al mondo attraverso un pezzo d’arte chiamato canzone, può servire ad alleviarne gli effetti collaterali.
Ci vuole sempre e comunque una buona dose di coraggio per poterlo fare, e io, come detto già molte volte, ammiro chi è capace di esternare il proprio buio interiore attraverso le parole di una canzone, perché dimostra una volontà ferrea di cambiare le cose, e una fiducia fortissima nel potere della musica e delle parole. Tanto di cappello quindi a Trunchell, che vuole riuscire a tutti i costi a trovare un piccolo spiraglio di luce nel buio più profondo.