Sabato sera ho assistito ad un concerto che mi ha molto emozionato. Si esibiva infatti un gruppo chiamato “Young Lovers”, che ha eseguito cover di pezzi di Neil Young.
La band era composta da un chitarrista/cantante/armonicista, da un chitarrista solista, da un batterista e da una corista.
Hanno eseguito praticamente tutti i pezzi più famosi di Young, con una carica ed una dedizione che mi hanno colpito molto.
Il cantante, in particolare, era l’elemento del gruppo che si dedicava alla presentazione dei brani, e lo ha sempre fatto mettendoci molto sentimento e passione: alla fine del concerto, era il membro del gruppo più sudato di tutti, segno che aveva impiegato proprio tutte le sue energie nell’esecuzione delle canzoni.
Questo secondo me è l’atteggiamento giusto, quello che deve sempre avere un rocker che si rispetti: non fidatevi degli artisti che a fine concerto sembrano non essere assolutamente affaticati o provati da quanto hanno fatto.
A mio parere, il rock dal vivo è fatto principalmente da sudore e devozione alla causa, e una band dimostra di essere valida dal modo in cui si esibisce davanti ad un pubblico.
A proposito di pubblico, devo dire che il concerto ha avuto un buon successo, perché tutti i posti a sedere predisposti per l’occasione mi sono sembrati pieni: l’atmosfera generale era poi unica nel suo genere, perché ci trovavamo all’interno di un parco scarsamente illuminato. L’unica fonte di luce era data dagli elementi di scena predisposti per l’esibizione della band: devo dire che la cosa non mi è dispiaciuta, perché secondo me ha contribuito a creare un senso di pace e rilassatezza molto bello.
Tutti gli spettatori erano concentrati sul concerto, perché non avevano altri elementi di distrazione che potevano disturbarli mentre lo seguivano.
Devo inoltre dire che ho visto ben pochi telefonini accesi per riprendere o fotografare la band in azione, e questo mi ha ulteriormente rilassato, perché io ho una particolare avversione verso chi durante un concerto non la smette di filmare o scattare foto con il proprio cellulare: penso che un live vada goduto appieno, senza essere occupati in altre faccende, che a mio parere non rendono l’ascoltatore pienamente attento e consapevole di quello che sta ascoltando.
Il pubblico deve essere ricettivo, rimandando al gruppo che si esibisce le emozioni che il gruppo stesso gli ha trasmesso: questo fa in modo che le energie della band si moltiplichino ed il suo modo di suonare sia ancora più appassionato e pieno di dedizione.
Devo inoltre dire che tutti i membri del gruppo mi hanno colpito positivamente: hanno suonato in maniera quasi impeccabile, e il cantante mi ha affascinato per la sua capacità di suonare strumenti diversi mentre, appunto, cantava. Anche il chitarrista solista era piuttosto bravo, e si è esibito in alcuni assoli piuttosto efficaci, a volte muovendosi sul palco come se fosse tarantolato, tanta era la forza sprigionata dalla musica che suonava.
Da parte mia, devo dire di aver battuto il piede e mosso le gambe al ritmo della musica per quasi tutto il tempo, segno evidente che ho apprezzato molto ciò che mi è stato proposto.
Dato che anche l’occhio vuole la sua parte, gli “Young Lovers” avevano una corista a mio parere molto bella, che si scatenava a ballare sulle note dei suoi compagni di band ed offriva un valido contributo in termini di sostegno alla voce del cantante principale: verso la fine del concerto, è arrivata a cantare da sola una parte di una canzone, segno evidente della fiducia che gli altri membri nutrivano in lei.
Il successo del concerto presso il pubblico è stato testimoniato anche dal fatto che il gruppo ha dovuto suonare altre due canzoni, dopo quella che avrebbe dovuto essere l’ultima.
Alla fine, l’esibizione si è protratta per quasi due ore, che sono scorse via con leggerezza e velocità, altro segno della qualità di ciò che veniva proposto.
Tutte le canzoni eseguite mi sono piaciute, ma devo dire che “Rockin’ In A Free World” è quella che mi è più rimasta impressa nella mente, forse perché mi ha ricordato il concerto dei Pearl Jam a San Siro nel 2014, in cui il gruppo americano l’ha eseguita come pezzo di chiusura, liberando una quantità tale di energia positiva, che ha fatto dimenticare agli spettatori le “fatiche” (se così possiamo chiamarle) legate all’aver seguito praticamente tutto il concerto in piedi, ballando e scatenandosi.
Non posso poi non citare un episodio particolare avvenuto sabato sera: prima di eseguire una canzone che parlava del fatto che c’è un tempo per ogni cosa, il cantante ha rivelato di essere stato vittima del Covid e di esserne guarito grazie alla premura di una splendida equipe di medici ed infermieri. Si è quasi commosso quando ha detto di aver visto uno di loro fra il pubblico, avendolo riconosciuto dagli occhi, perché le bardature che gli operatori degli ospedali hanno addosso quando curano i casi di Covid lasciano scoperti praticamente solo gli occhi.
Questa rivelazione ha commosso anche me e mi sono unito all’applauso corale per l’avventura guarigione.
Prima di giungere al termine dell’articolo, devo lodare anche l’impianto sonoro messo a disposizione della band, che ha reso l’esibizione ancora più travolgente e potente, con il suono delle chitarre sparato a mille su per il cielo pieno di stelle.
Per finire, devo ammettere di essermi identificato pienamente in un’altra affermazione del cantante, fatta per annunciare una particolare canzone: “Dicono che Neil Young suonava tre accordi. Si ok, ma come li suonava?”
Questo è il segno che a volte l’essenzialità paga: se il testo è pregno di significato ed intensità, tante volte sono sufficienti pochi accordi, disposti e suonati nel modo giusto, a rendere il messaggio del testo stesso immediatamente riconoscibile e fruibile da parte della platea degli spettatori.
Devo dire che, dal canto mio, non vado matto per le canzoni troppo elaborate in termini melodici ed armonici: la sola eccezione, che conferma la mia regola, è data dal Progressive rock, genere che amo particolarmente, perché mi ricorda la musica classica con cui sono cresciuto da bambino, quando suonavo la chitarra, appunto classica.
Quindi, alla fine di tutto, cosa dire? Tenete ben in mente il nome “Young Lovers” e magari cercate su Internet se prevedono concerti vicini alla vostra zona.
Credetemi, ne vale veramente la pena.
La mia speranza è che questa grande band un giorno riesca a tirar fuori anche un proprio repertorio, fatto di canzoni scritte da loro, perché credo che abbiano assolutamente le capacità per farlo.
Magari ce l’hanno già, e sabato ci hanno fatto sentire solo la parte di tributo al loro artista di riferimento.
Credo che mi documenterò su questa cosa, cercando di capire se esistono dei brani “inediti”, alla cui scrittura si è dedicato proprio il gruppo.
Neil Young è un personaggio importante, sia dal punto di vista musicale che da quello sociale: celebri sono infatti le sue battaglie contro la discriminazione razziale, che ha citato anche il cantante degli “Young Lovers”.
Neil si è attirato anche qualche critica quando si è esposto in prima persona con le sue canzoni, per dire basta: come ho già avuto modo di dire, si è grandi anche e soprattutto se con la propria musica si combatte per un ideale e si cerca di sensibilizzare le persone su una o più tematiche a cui si tiene molto.
Non si è degni di rispetto se almeno una volta non si è provocato il risentimento dei poteri forti, che vorrebbero mantenere le cose sbagliate così come sono, perché fa comodo a loro.
Questo è il motivo per cui amo particolarmente gli artisti che sovvertono e mettono in discussione le consuetudini acquisite, offrendo la propria arte, a disposizione dei più deboli e degli emarginati, per fare un modo che venga posta l’attenzione su di loro e ricevano aiuto.
Oggi dico quindi grazie a Neil Young e agli “Young Lovers”.