Il Natale si avvicina a grandi passi, quindi quale può essere uno dei modi migliori per celebrarlo? Recensire una canzone ad esso dedicata, naturalmente, che vuole fa riconquistare a Babbo Natale un posto di rilievo in questo nuovo mondo sempre più digitale, fatto di like e cuoricini, in cui si trova un po’ spaesato e nel quale chi ascolta il buon vecchio rock and roll viene considerato fuori moda. Uno dei simboli del Natale acquista quindi una nuova e multidimensionale importanza, facendosi sì portatore dei valori più antichi e radicati di questa festività, ma anche di una certa dose di “vecchia scuola”, come potremmo definirla, della quale sembra far parte insieme allo stesso rock and roll, diventandone anzi una figura particolarmente emblematica, proprio perché detentrice del vero valore del Natale, la tradizione, che illumina gli occhi dei bambini e li riempie di felicità.
A livello sonoro, possiamo sicuramente affermare che il brano affonda le sue radici in un genere ben preciso, cioè il punk rock, fatto di velocità di esecuzione, chitarre e batterie sfrenate e testi ironici e dissacranti.
Il testo di questa canzone si colloca dunque all’interno di questo alveo di irriverenza, che sfocia a tratti in un simil-rito pagano, che sembra in qualche modo prendersi scherzosamente beffe delle tradizioni religiose e dei riti della Chiesa cristiana, buttandola, come si dice, “a tarallucci e vino”.
Le prime parole sono piuttosto forti, e lasciano immediatamente interdetti, perché si rivolgono al povero Babbo Natale senza usare mezzi termini, mandandolo letteralmente a quel Paese, utilizzando un termine piuttosto “strong”, che sembra eliminarlo dalla considerazione dei moderni ragazzini digitali e televisivi: entrano infatti successivamente in gioco la parole chiave del mondo di internet e dei social media, con i regali e gli auguri che sembrano fatti esclusivamente via chat, invadendo letteralmente le caselle di posta e i sistemi di messaggistica degli amici, e finendo come risultato ultimo in televisione, a leggere la propria letterina, diventando protagonisti per i famosi 15 minuti citati da Andy Warhol.
Le persone sembrano amare gli altri, i propri compagni e amici perché vengono in qualche modo “comprati”, magari attraverso post sponsorizzati su Facebook, che fanno schizzare verso l’alto il numero di like: il nostro autore considera tutto questo come una vera e propria perdita di dignità, con le persone che si riducono a dare ridicoli spettacoli in televisione, che nulla hanno a che fare con lo spirito genuino del Natale.
Il verso conclusivo della prima strofa sembra richiamare una celebre battuta di Totò, che in uno dei suoi film invitava a votare per un certo Antonio, che in questo caso sembra assumere le sembianze di un parente o di un amico che si trova in casa a guardare la televisione.
A questo punto, parte il ritornello, con una sgasata degna di una fuoriserie, che porta il ritmo ad accelerare ulteriormente e rende la canzone autenticamente punk: il Natale che Luca desidera deve essere qualcosa di strabiliante, di fenomenale, da ricordare per sempre, con l’utilizzo dell’autotune, che può rendere la voce sia più pulita che più distorta, in modo che i propri numeri in termini di ascolti e visualizzazioni siano sempre più elevati.
Entra poi in gioco il “rito pagano” a cui ho accennato in precedenza: il nostro cantautore dice infatti che vuole essere libero di urlare nel bel mezzo di una celebrazione eucaristica che l’amaro Brancamenta fa miracoli, andando a ricollocare tutto in una dimensione più “festaiola”, da bar, in cui i bicchierini di amaro si sprecano e fanno diventare chi li beve le star della serata, ponendosi come valida alternativa ai like e ai cuoricini sui social.
Babbo Natale viene invitato non solo ad unirsi alla festa, ma addirittura a pagare da bere, assumendo in questo modo un carattere virale, facendo in modo che la sua fama torni ad espandersi su tutti, come ha purtroppo fatto il virus del covid: l’Italia, il Bel Paese, assume delle caratteristiche totalizzanti, diventando addirittura il solo mondo possibile, trascinato dal successo dei cosiddetti “cinepanettoni”, i film che escono nelle sale puntualmente ogni anno nel periodo natalizio e che dovrebbero far ridere, ma che invece mostrano l’immagine più becera e volgare della nostra nazione.
Si parla successivamente di alcuni luoghi comuni, che vogliono che il Natale debba essere trascorso con i propri familiari, mentre il Capodanno con chi si desidera: tutto questo viene arricchito e incluso nella dimensione di “divertissement” della canzone da un verso che ha una doppia valenza, perché la neve di cui si parla può sì essere quella che scende dal cielo, ma più probabilmente è quella che si sniffa e si consuma durante le feste, visto che viene chiamato in causa Lapo Elkann, protagonista di ben note e tristi vicende legate al consumo di droga.
Ed eccoci giunti di nuovo al ritornello, che si lancia a tutta velocità sui binari dell’ironia e delle immagini dissacranti, con i propri fenomeni, l’autotune per fare numeri, il Brancamenta citato da un grido durante l’Eucarestia e tutti che se ne vanno allegramente al bar a festeggiare.
Questo ritornello viene poi replicato utilizzando parole diverse, ma sempre ironiche e dissacranti: si parla di far una colazione a base di Vicodin, il celebre antidolorifico utilizzato anche dal protagonista della famosa serie “Dr. House”, di intonare un canto pastorale, tipico del Natale, con una chitarra elettrica Les Paul, arrivando a chiedere addirittura la benedizione da parte di Joey Ramone, cantante del più famoso gruppo punk della storia, in un misto fra sacro e profano, sull’onda di quanto affermato precedentemente. La conclusione di tutto è sempre quella: tutti si ritrovano a far festa al bar.
Abbiamo poi un evidente rallentamento del ritmo complessivo, con il brano che si trasforma quasi in una ballata nella sua parte finale: qui la componente satirica raggiunge il suo apice, perché questa parte è cantata/parlata imitando la voce di Silvio Berlusconi, che si rivolge alla cara renna Rudolph, dicendole che, come ha fatto Fedez con la sua serie tv incentrata sulla sua vita familiare, anche lui vuole scendere di nuovo in campo, come ha fatto in politica, questa volta in occasione del Natale, per renderlo più bello, più vincente e più rock and roll, quasi che fosse una competizione per determinare chi riceve più consensi, e questo ci riporta alle affermazioni dei primi versi, quando si parlava di like sui social e di celebrità in televisione.
La voce di Berlusconi non vuole far torto a nessuno, e augura delle buone festività alla sua renna preferita, auguri che vengono da qualcuno che si considera ancora un ragazzo, anche se ha ormai più di ottant’anni, ma che possiede un cuore ancora giovane.
Secondo me, il top dell’ironia e della satira si raggiunge con l’affermazione finale, tipica del Silvio nazionale: il suo “Cribbio” risuona nell’aere come degna conclusione di una canzone che appassiona sia per il suo incedere frenetico, sia per il messaggio ironico e dissacrante che porta con sé, sempre restando nei limiti del lecito e del consentito.
La vera conclusione di tutto, comunque, sta nel verso “andare tutti al bar”, che viene declamato come farebbe il presentatore di uno spettacolo circense, perché, alla fine, tutto il brano è qualcosa di spettacolare e divertente.
Mi sono piaciuti anche gli effetti di contorno agli strumenti cosiddetti “consueti”: mi è parso di sentire, ad esempio, la tipica risata bonaria di Babbo Natale, che ha creato un’atmosfera fra il surreale e l’ironico.
Sono sicuro che il nostro Luca e il suo gruppo di Fenomeni si siano divertiti molto a comporre, suonare e cantare questa canzone, perché unisce all’allegria e ai simboli tipici delle feste natalizie una satira nemmeno troppo velata verso le malsane abitudini della società odierna, che vede un personaggio come Silvio Berlusconi ancora sulla cresta dell’onda, quasi che si proponesse come un degno sostituto di Babbo Natale stesso, visto che si mette a parlare con le renne.
Alla fine, secondo me, ci resta un ottimo brano punk rock, dai ritmi a volte frenetici, molto ballabile e orecchiabile, sgangherato e divertente quanto basta, che aiuta a sdrammatizzare un po’ l’atmosfera che a volte si crea durante le feste natalizie, soprattutto nella società dell’immagine, in cui i social network e la televisione la fanno da padrone: un Natale vissuto “virtualmente”, in cui il contatto fisico con gli altri viene ridotto al minimo, e in cui si preferisce essere famosi su Internet piuttosto che nella vita reale.
Alla fine, tutto viene riportato ad un’atmosfera autenticamente festosa, nella quale tutti si ritrovano al bar a riempirsi di Brancamenta, liquore che sembra fare miracoli: lo stesso Babbo Natale è invitato a partecipare alla festa, per prendersi una rivincita su chi lo considera ormai superato in un’era sempre più tecnologica.
La canzone mi sembra ben strutturata, ben articolata e ben prodotta, di qualità insomma. Mi ha riportato alla mente due gruppi in particolare, i Green Day di Billie Joe Armostrong, per la capacità di prendere e vedere le cose in maniera scanzonata e ironica, e i Bluebeaters di Giuliano Palma, perché alcuni tratti di canzone mi sono sembrati sfociare anche nello ska, oltre al punk, e perché aleggia in tutto il brano un’atmosfera di leggerezza che coinvolge e prende molto, spingendo a ballare e a divertirsi, vivendo un Natale un po’ come ai vecchi tempi, quando non c’erano i social e la televisione non dominava (a questo proposito, non mi sembra casuale l’imitazione di Berlusconi).
Babbo Natale deve riconquistarsi il suo posto nei cuori dei bambini e dei ragazzini, facendogli dimenticare le lusinghe del mondo virtuale e riportando tutto su una dimensione più “terrena” e concreta.
Penso che questa canzone possa costituire un insegnamento per le giovani generazioni: mi raccomando, però, bevete con moderazione, grazie.