Recensioni

La rinascita del viola – Giosef

Come prima cosa, devo ammettere che il disco mi è apparso piuttosto complesso ed articolato, pieno di stimoli e messaggi, il cui tentativo di  interpretarli mi ha portato ad ascoltarlo più volte.

Sicuramente, in ciascuna canzone si parla di storie di rinascita, che portano gradualmente ad una maggiore sicurezza e consapevolezza di sé: non per nulla, la parola “rinascita” è presente anche nel titolo del disco.

Quello che tenterò di fare, una volta trovato il filo conduttore della fatica discografica di Giosef, è dare un’interpretazione al significato di ciascun pezzo, passando attraverso anche il significato attribuito dall’artista ai colori.

La prima canzone parla della ricerca della libertà, in mondo che vive sempre di corsa, sempre alla ricerca dell’approvazione degli altri, in balia del loro giudizio. L’autore desidera ardentemente di essere libero, di poter vivere una vita tranquilla, meno frenetica: racconta di quello che osserva attorno a sé, nella sua vita di tutti i giorni, di una madre che, dopo aver accompagnato il proprio figlio a scuola, saltando di corsa sulla propria auto e sfrecciando a tutta velocità, diretta verso il proprio posto di lavoro, come se la vita fosse una corsa a chi arriva prima, ma a quale traguardo. Poco dopo, Giosef fa un rapido elenco delle cose dalle quali vuole liberarsi, in una sequenza quasi rappata, talmente è rapida la successione delle parole: si tratta di tante cose che finiscono per opprimere la vita di una persona, come la rabbia, il giudizio degli altri, la costrizione a vincere sempre. Lui semplicemente chiude gli occhi ed immagina di essere libero da tutto questo. Del brano mi è piaciuta in particolare la linea melodica, fatta da un ritmo piuttosto rilassato, molto probabilmente campionato elettronicamente, accompagnato da una chitarra acustica che fa da delicato sottofondo. La ritmica si fa un po’ più serrata proprio quando l’artista effettua l’elenco di cui ho parlato in precedenza, per far percepire all’ascoltatore l’urgenza di questo bisogno di libertà. Secondo lui, è sufficiente non aver paura di esprimere i propri sentimenti, anche negativi, ed abbracciarsi per più di un secondo, per percepire il calore umano.

La canzone successiva inizia a parlare dei colori, con l’introduzione del pianoforte, che fornisce al brano quasi un’impronta jazz, che si alterna con segmenti di chitarra acustica, che riportano il brano sul genere pop rock. Il tema principale è semplice: l’autore pensa che non esista un colore che dà la felicità, che ognuno di noi indossa la propria tonalità e che non si possa trovare la chiave per la felicità, se non si effettua un percorso di ricerca e non si mette in gioco la propria verità. Nonostante questo, la canzone è incentrata sul colore viola, dal quale prende anche il titolo, considerato il colore della spiritualità, che porta alla comunicazione con l’universo. Emerge quasi un contrasto, tra l’incertezza che procura la ricerca di un colore che dia serenità e la consapevolezza che una vita all’insegna del viola sia quello che possa cambiare radicalmente una persona e riesca a portare positività nella sua esistenza: questa canzone si lega in qualche modo alla prima, perché anch’essa ha in un certo qual modo la libertà come punto focale, che da desiderio si trasforma in fatto concreto, grazie al potere taumaturgico di un colore, il quale porta serenità interiore ed equilibrio.

Giosef si mette poi di nuovo a parlare della vita, dicendo che, alla fine, si tratta di un gioco: questa affermazione secondo me è una provocazione, perché l’atmosfera è giocosa, con una tonalità allegra, accompagnata dal fischiettare del cantante. Il brano comunica un messaggio preciso: non bisogna arrendersi se non si riesce a mettere in atto qualcosa nel modo in cui si voleva, perché quello che viene si chiama serendipità, cioè la felicità di scoprire cose per puro caso, o comunque di trovare una cosa non cercata, imprevista, mentre se ne stava cercando un’altra. Anche se non si ottiene quello che si vuole, è molto probabile, secondo l’artista, che il gioco della vita porti a scoprire qualcosa che meraviglia, proprio perché non cercato e non atteso. Questo è proprio quello che intendo quando parlo di provocazione: la vita è considerata come un gioco  perché, mentre si cerca di ottenere qualcosa, si arriva a trovare qualcos’altro, che può portare una maggiore felicità di quella che avrebbe portato il fatto di trovare l’oggetto della ricerca iniziale. Mi è piaciuta molto un’immagine, cioè quella che paragona le persone che nella vita di tutti i giorni si trovano come dei giganti in una Mini: il filo conduttore della libertà non accenna quindi a rompersi, perché anche in questa canzone, si vuole uscire dalle costrizioni in cui si è imprigionati, per ottenere ciò che si desidera.

Con il proseguire del disco, si entra in un’atmosfera più “ovattata”, che culla dolcemente l’ascoltatore, con una melodia e un ritmo molto molto rilassati, distesi e sembra parlare direttamente ad una persona, dedicandogli o dedicandole i versi del ritornello: se il mondo avesse i suoi occhi, non ci sarebbe la guerra, e se il mondo avesse i suoi passi, le persone ritroverebbero sé stesse. Il cantato diventa comunque progressivamente più appassionato, forse perché proprio il fatto di dedicare la canzone ad una certa persona porta a mettere tutte le proprie energie in quel brano, in un crescendo appassionante.

La vena “romantica” della canzone si accresce quando Giosef arriva ad affermare che l’amore è molto più di un’utopia: il brano è molto intimistico, perché si rivolge come detto direttamente ad una persona, e perché si dice che parte tutto da sé stessi, da ciò che si ha dentro.

Si ritorna poi ad un’atmosfera molto più movimentata: Giosef arriva quasi ad urlare il suo messaggio a tutto il mondo, con una chitarra flamenca che si esprime al suo meglio, fungendo da ottimo sottofondo alla sua “protesta”. Mi piacerebbe sapere sia chi è questo Alfredo a cui lui si riferisce sia perché il titolo è “innorante” invece che “ignorante”: può essere che il titolo stesso derivi dalla fusione tra la parola inglese “in” e quella italiana citata proprio sopra. Di solito, essere “in” significa essere in vista, essere importanti, alla moda, ed è proprio questo quello che fa il protagonista della canzoni, ignorando tutto quello che lo circonda, informandosi solo alla televisione, facendosi selfie con il telefonino nel proprio bagno, credendo quindi che in questo modo il mondo si accorga di lui, che possa ottenere una parte in un talent o un contratto. Quando ho ascoltato questa canzone ho pensato subito che si trattasse di una sorta di presa in giro delle persone che seguono la massa, che pensano solo a sé stesse e solo alla popolarità, pensando che con un selfie pubblicato con l’hashtag giusto si possa ottenere il successo. Alfredo celebra il culto dell’apparenza, della finta notorietà, dei talent, costruiti artificialmente seguendo un copione ben preciso.

Come detto, la cosa interessante di questo disco è che offre una grande quantità di stimoli e sensazioni: a dimostrazione di questo, dopo la chitarra flamenca si ritorna alla dolcezza delle note del pianoforte e della chitarra acustica. Il simbolo questa volta è una rosa bianca, e quindi si ritorna ai colori: essa permette di scambiarsi amore con le mani, regalandosi una carezza e dirsi che è ancora possibile se si ama, permette di trovare il proprio posto, di trovare l’uomo che c’è in sé stessi. Se ci si trova in un momento di difficoltà e confusione, si può piantare un seme anche nel deserto, per vedere crescere una rosa bianca: un fiore posto come priorità, per vedere che l’amore alla fine è tutto ciò che si ha. Anche qui abbiamo dei tratti molto romantici ed un crescendo nella passione che viene messa nel canto, una passione che diventa sempre più credibile ed autentica.

La vena passionale e romantica prosegue ulteriormente con la canzone successiva, che fa uso a mio parere di parole molto tenere e molto incoraggianti, perché parla dell’arrivo di una persona speciale nella vita del protagonista del brano, che porta un’intuizione: all’inizio, magari, la vita ci prende a schiaffi, ma poi ci offre l’occasione di celebrare tutto lo splendore che c’è nella propria persona, quindi non dobbiamo pensare che tutto sia sbagliato, ma che la vita alla fine va bene anche così. Mi piace molto l’introduzione di pianoforte, molto dolce e malinconica, che dà modo a Giosef di dire che tutto apparentemente gli sembra sbagliato, ma che poi arriva, appunto, l’intuizione. Nella parte centrale del brano, mi sembra di sentire anche il suono di alcuni violini, che non fa altro che rendere ancora più apprezzabile il significato del messaggio di cui l’artista vuole farsi portatore nella canzone.

Anche il brano finale inizia con un’introduzione di pianoforte, se possibile ancora più dolce e melodica, quasi sussurrata: le parole di Giosef in questo caso sono piuttosto ermetiche, perché l’artista fa uso di immagini che sembrano metaforiche, una donna che stende i panni su un filo per lavarsi la coscienza, un equilibrista che rischia camminando sul filo e che inciampa e finisce nella rete, un pescatore che collega il filo al suo amo per necessità di vita e sentirsi realizzato, un aquilone appeso ad un filo, che vede il proprio destino deciso dal vento. Tutte queste immagini sono per l’artista unite appunto da un filo, un filo d’oro, che unisce e permette di trovare felicità e pace, perché funge da guida e unisce. La canzone, dopo una prima parte cantata, si articola nella sua seconda parte solo con la melodia, quasi che Giosef voglia far riflettere l’ascoltatore nella parte finale del suo album, indurlo a pensare, dopo avergli fornito così tanti stimoli, così diversi fra loro, e un’alternanza di cifre melodiche, dalla malinconia del pianoforte e dei violini, alla chitarra acustica, fino alla chitarra flamenca, che esprime energia.

Alla fine, abbiamo un buon album pop rock, con sfumature jazz e melodiche, che esprime tutti i dubbi, le incertezze, ma anche le sicurezze ritrovate da parte dell’autore, in un percorso di crescita, che mostra tutte le sfaccettature della sua personalità e del suo mondo interiore.

A mio parere, si tratta di un disco complesso, che va ascoltato diverse volte per essere compreso completamente: credo che il filo conduttore, per citare l’ultima canzone, sia la ricerca della libertà, di un’emancipazione dai limiti posti dal mondo, che ci vuole perfetti, che non tollera dimostrazioni di paura e che non lascia il tempo per crescere e maturare, perché vuole tutto e subito.

Nonostante tutto ciò, l’autore riesce ad esprimere appieno il proprio processo di maturazione ed emancipazione, nelle sue molteplici sfaccettature e nei suoi molteplici colori, fra i quali prevale il viola, simbolo della spiritualità e della comunicazione con l’universo. E’ presente anche il bianco, che vuole simboleggiare il candore e la purezza di un amore ritrovato, di una coscienza di sé stessi che riemerge dagli abissi in cui era sprofondata.

Insomma, la vita ci mette davanti a delle difficoltà, che sembrano insuperabili, ma, dopo averci presi a schiaffi, ci offre un’opportunità, un’occasione che deve essere sfruttata per far risaltare tutta la bellezza e tutto l’amore che sono insiti in noi ed aspettano solo di essere tirati fuori dal luogo in cui sono sepolti.

 

 

 

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