Oggi vorrei condividere con chi avrà piacere di leggere questo articolo la mia profonda ammirazione per un artista che ho scoperto l’anno scorso e riscoperto recentemente.
Si tratta di un chitarrista blues ricco di talento e di attitudine, chiamato Kenny Wayne Sheperd.
Se amate il buon blues elettrico segnatevi subito questo nome e andate ad ascoltarvi i suoi album. Piccola nota a margine per le signore e le signorine: il ragazzo è anche belloccio, il che non guasta mai.
Una primissima annotazione di colore su di lui risiede nell’anno di nascita, il 1977.
Perché? Perché sembra proprio che il Dio del blues fosse molto ispirato quell’anno, dato che, oltre a Kenny, ha fatto nascere altri due talenti mica male, che rispondono al nome di Joe Bonamassa e John Mayer.
E non è finita qui. Quell’anno ha visto l’uscita di alcune pietre miliari della storia del rock.
Solo per citarne alcune, abbiamo “Never Mind the Bollocks” dei Sex Pistols, “Exodus” di Bob Marley & The Wailers, “Slowhand” di Eric Clapton, “Rumors” dei Fletwood Mac, “Heroes/Low” di David Bowie e “Let There Be Rock” degli ACDC.
Capite bene che, con un sottofondo del genere, fosse più semplice generare una prole favorevolmente orientata alla musica.
Ma chiudiamo questa breve digressione per tornare al nostro “handsome bluesman”.
Appare immediatamente evidente che abbia fatto tesoro di tutta la tradizione del genere, rielaborandola ed ricomponendola in uno stile personale, aperto ad ogni tipo di influenza.
Una prima, grande ed importante influenza, come per il 99% dei chitarristi, è rappresentata da Hendrix. Come Stevie Ray Vaughan prima di lui, Sheperd esegue una cover di un brano del più grande di tutti i tempi (“I Don’t Live Today”) e lo fa molto bene, rendendolo attuale e centrandone perfettamente gli intenti e l’anima. C’è forse meno psichedelia, ma l’elettricità resta intatta.
I rimandi non si limitano comunque solo a Jimi. Se si ascolta attentamente uno qualsiasi dei suoi album, si riescono a percepire, talvolta all’interno di una stessa canzone, tutti gli omaggi che il musicista rende ad alcune delle personalità che hanno fatto grande il blues.
C’è sicuramente il già citato Stevie Ray Vaughan, con i suoi fraseggi immensamente tecnici ed il suo particolare suono, c’è Joe Bonamassa, quando il suono stesso diventa più elettrico ed elaborato, c’è Johnny Winter nello stile di base, c’è George Thorogood nella sfrontatezza e nella sana “cattiveria”.
C’è infine anche un po’ di Muddy Waters, quando l’armonica fa la sua comparsa come compagna di giochi della chitarra.
Un altro elemento caratterizzante che credo di notare in lui e che mi colpisce immensamente è la sua capacità di adattare la voce allo stile ed al mood del brano che sta suonando.
Mi spiego meglio: se Kenny suona in “stile Hendrix”, chiudendo gli occhi mi sembra non solo di sentire il tocco di Jimi, ma anche la sua voce.
Questo mi succede molte volte, forse anche a causa della mia fortissima capacità immaginativa, che genera l’attitudine a collegare immediatamente un artista con un altro, uno stile con un altro ed una sensibilità musicale con un’altra.
Fatto sta che il ragazzo è un vero e proprio fenomeno, in grado di affrontare ogni tipo di sfida e di vincerla, interiorizzando ed assorbendo completamente ciò che lo interessa e lo colpisce, per filtrarlo e riproporlo fortemente caratterizzato dalla propria individualità.
Tutto in lui è perfettamente al proprio posto: abbiamo tecnica, stile, attitudine, anima, potenza, apertura ed elasticità mentale. Insomma, tutte le componenti che rendono grande un musicista.
Mi sento di dire che il futuro della musica in generale e del blues in particolare non è in pericolo, dato che ci sono in giro talenti sconfinati come lui.
Lunga vita dunque a Kenny Wayne Sheperd.