Quando su YouTube rivedo le sue performance ai Kennedy Center Awards, dove canta “(You Make me Feel Like) a Natural Woman” in onore della premiata Carole King, e nella cover di “Jumpin’ Jack Flash” degli Stones, con Keith Richards, Ronnie Wood e Whoopi Goldberg, mi viene la pelle d’oca. Personalmente, la considero la migliore cantante di musica black della storia. Il suo repertorio ha spaziato in tutti i generi possibili, dal gospel all’R&B, dal soul al pop, dal jazz al blues, stili che ha fatto sempre suoi, con una facilità disarmante.
Ovviamente sto parlando della grandissima Aretha Franklin, della quale abbiamo ricordato la nascita solo qualche giorno fa.
Lei è la donna dei record: ha vinto ben otto Grammy Awards consecutivi per la miglior voce R&B, è stata la prima donna ad entrare nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1987, ha pubblicato il disco gospel più venduto della storia, “Amazing Grace”, con oltre due milioni di copie. Quest’ultimo era un doppio album live, registrato in una chiesa Battista di Los Angeles.
Si è fatta le ossa seguendo il padre predicatore nei suoi viaggi, che le hanno dato l’occasione di mostrare il proprio repertorio gospel.
La sua carriera nel mondo della musica in realtà non è cominciata nel migliore dei modi, dato che i primi dischi, incisi per la “Columbia Records”, hanno avuto uno scarso successo: tutto ciò è da attribuire al fatto che la casa discografica esigeva da lei un repertorio più orientato verso il pop, cosa che le impedì di esprimere tutto il proprio talento soul ed R&B.
Ma la svolta era dietro l’angolo, poiché nel 1967 Aretha si legò alla “Atlantic Records”, con la quale avrebbe instaurato uno stabile e fruttuoso rapporto, pieno di successi e soddisfazioni: la cantante sfornava hit a profusione e ben presto arrivò in vetta alle classifiche e si meritò l’appellativo di “Queen of Soul”. Di quel proficuo periodo, la Franklin racconta che le bastava sedersi al pianoforte e le canzoni di successo arrivavano da sole: collaborò con due produttori, Jerry Wexler ed Arif Mardin, che la aiutarono a sbocciare definitivamente.
Non bisogna dimenticare che la Franklin è stata anche una paladina dei diritti civili e del femminismo: la sua interpretazione del brano “Respect” di Otis Redding ne è la testimonianza più viva ed emozionante.
Memorabile è poi stata anche la sua apparizione nel film culto “The Blues Brothers” del 1980, in cui cantava il brano “Think”, in faccia a colui che interpretava suo marito, Mark “guitar” Murphy, per convincerlo a non ritornare nella band.
La Franklin è divenuta famosa anche per le sue straordinarie cover: oltre alla già citata “Jumpin’ Jack Flash”, ci sono “Eleanor Rigby” dei Beatles, “The Weight” della Band, “Bridge Over Troubled Water” di Simon & Garfunkel e canzoni di San Cooke e dei The Drifters.
Le canzoni citate finora rappresentano i suoi più grandi successi, insieme a “Baby I Love You”. Una menzione speciale, a mio parere, merita anche “Chain of Fools”, brano dal ritmo incalzante e coinvolgente.
Fino ad ora ho parlato della sua carriera e dei suoi record, ma non ho ancora detto nulla sullo strumento che ha portato Aretha a tutto questo, cioè la sua voce.
All’apice della sua carriera, essa era pulita, squillante e brillante, ma sapeva essere anche pungente e potente, soprattutto quando in ballo c’erano i diritti delle donne.
Era in grado di esplorare tutte le tonalità e tutta una scala di gradazioni sonore, mostrando un’innata musicalità ed una grande capacità di improvvisare, entrambe di derivazione jazz e di appartenenza alla musica nera. Aretha era una cantante emotiva ed emozionale, che traeva la propria forza dalle sue profonde radici gospel ed evangeliche: la sua voce a volte sapeva essere una preghiera, un’invocazione, un’implorazione, perfettamente inserita nel contesto della musica soul. Aretha sapeva toccare come poche altre le corde dell’anima, quasi mettesse un punto esclamativo su ogni verso che cantava e con esso trafiggesse il cuore di chi la ascoltava. Non esprimeva un lamento, bensì una rivendicazione, un’affermazione perentoria, quasi che fosse, citando il film “The Blues Brothers”, in missione per conto di Dio.
Non a caso, la parola “soul” significa “anima” e la Franklin aveva la capacità di penetrare nello spirito delle persone, a volte per cambiarlo, altre per rafforzarlo nelle proprie convinzioni.
Per tutti questi motivi, io penso che possa essere considerata, come ho detto, la più grande voce femminile della musica nera.
Grazie Aretha per tutto quello che ci hai dato.